Ai Weiwei: fare e pensare
Palazzo Te, Mantova – fino al 6 giugno 2015. La via verso l’impegno artistico-politico secondo Ai Weiwei. Arriva a Mantova, nei suggestivi spazi di Palazzo Te, l’opera dell’artista-attivista più noto al mondo. Tra Oriente e Occidente, antico e moderno, azione e linguaggio.
Nella tradizione taoista, wei è un termine chiave che significa “azione”, “fare”, “sforzarsi” e la cui negazione, wu-wei, diviene sinonimo di “spontaneità”, fine ultimo del tao. Nella tradizione cattolica Dio “fa” (wei) il mondo, al contrario il tao “non lo fa” (wu-wei), il che significa che questi semplicemente cresce, così che per un taoista non ha senso porsi domande sulla creazione, quindi sul suo scopo, la sua volontà e il suo principio.
Il fatto che Weiwei (Beijing, 1957), il nome dell’artista-attivista oggi simbolo dell’arte contemporanea cinese, sia un raddoppiamento del termine-ostacolo della spontaneità taoista, fa in qualche modo riflettere, anche basandosi sulla pur magra considerazione che il padre Ai Qing, uno dei più grandi poeti cinesi del XX secolo, fu cristiano. Analizzare il suo nome, che non è d’arte perciò non riflette automaticamente nulla della sua attività, aiuta a conoscerlo: wei-wei nel senso di doppio sforzo, artistico e politico, una dualità imprescindibile, ma anche wei-wei nel senso di fare due volte, cioè prendere oggetti d’arte antica e ricrearli di nuovo, dando nuovi significati e nuovi valori.
Ovviamente il nome non è che un pretesto e soffermarsi sarebbe assurdo in un contesto occidentale, ma in Cina la scrittura per ideogrammi e la struttura tonale della lingua consentono moltissimi giochi di questo tipo, sfruttati spesso per creare una sorta di mitologia e sfuggire alla censura. In più forniscono la virtù, divenuta innata e quasi scontata nella cultura cinese, di suggerire con pochissimi elementi moltissimi significati.
I tanti piani che attraversano ogni opera dell’artista sono già evidenti in Horses: numerose riproduzioni dei cavallini di porcellana della dinastia Tang sono disposte ordinatamente nella Sala dei Cavalli. L’opera dialoga con lo spazio, richiama l’esercito di terracotta, fa appello allo studio rinascimentale sull’anatomia e la forma scultorea del cavallo, riproduce il dono diplomatico cinese degli anni Settanta, pone questioni sulla produzione in serie degli oggetti. Queste chiavi di lettura, semplici e immediate, nascono dall’incrocio dell’usitato tema della profanazione dell’arte antica, che è critica alla distruzione culturale del governo cinese, e di quello delle masse, più spesso, come in Fairytale o Sunflower Seeds, con accento sull’individualità, qui invece sul rischio dell’omologazione sotto regime.
Tutte le opere della mostra sono attraversate al contempo da numerose linee di significato: da una parte il dialogo con le sale di Giulio Romano, dall’altra il confronto con la tradizione sia occidentale sia orientale, infine lo scambio tra le due culture contemporanee.
Le sculture di Li Zhanyang (Changchun, 1969) riprendono i simboli della tradizione cristiana di origine europea, analogamente alla profanazione di Ai, per scoprirne l’effetto nell’etica e nell’estetica moderne, spesso con un gusto per il comportamento sociale al limite del teatrale. Le tele di Meng Huang (Beijing, 1966) ci introducono, ludicamente, in paesaggi semi oscuri.
Se, come detto nel veloce preambolo, la via di liberazione taoista conduce alla spontaneità del non-agire, wu-wei, questo Giardino Incantato vuole in qualche modo essere un invito alla riflessione sulla realtà, quindi, in definitiva, all’impegno artistico-civile del wei-wei.
Lodovico Lindemann
Mantova // fino al 6 giugno 2015
Ai Wei Wei, Li Zhangyang, Meng Huang – Il Giardino Incantato
a cura di Sandro Orlandi Stagl, Mian Bu e Cui Cancan
Catalogo Maretti
PALAZZO TE
Viale Te 13
0376 288208
[email protected]
www.aiweiweimantova.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/42697/ai-weiwei-il-giardino-incantato
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