David Bailey al PAC. Quel che non uccide
PAC, Milano – fino al 2 giugno 2015. Trecento fotografie, oltre trecento volti. Dalla Swingin’ London che ispirò Antonioni passando per i Beatles, Jagger, Warhol, Capote, Michael Caine, Terence Stamp, la Moss e Amanda Lear. Una mostra che nella sua perfezione risuona come un grande vuoto. Un interrogativo.
Il PAC di Milano risuona ancora più ampio e risulta, a un primo sguardo, decisamente più luminoso rispetto a come si è abituati a sentirlo. Nonostante la densità a parete, creata da oltre trecento fotografie di medie e grandi dimensioni, in bianco e nero oppure a colori, punteggiate alle pareti in sequenza continua, lo spazio spande. Impensabilmente vuoto. Libero da installazioni, sculture, interventi, tracce, performance e persino dagli spessori di qualsiasi dipinto, al di fuori del buio di qualsiasi videoproiezione.
Stardust è l’esposizione aperta in occasione della Settimana della Moda e che rende omaggio a visioni e incontri del grande protagonista visionario delle più lette riviste di fashion, David Bailey (Leytonstone, 1938). Fotografo della luce, della moda e del volto, genio diretto, autodefinitosi “proletario”, che ha saputo fissare, interpretare l’energia della nuova cultura nei fashion magazine, così come nell’establishment mondiale. Immortalando la Regina Elisabetta II, per i suoi 88 anni, così come gli aborigeni della Papua Nuova Guinea, i Sadhu indiani, Twiggy, Marianne Faithfull, Man Ray, Salvador Dalí e Warhol.
Nonostante la ieraticità spontanea di pose e volti, oggi divinità, segni stratificati di epoche differenti, quel che soggiace a una buona parte dei ritratti non è solamente una manifestazione di padronanza dello sguardo – come reciprocamente inteso, da obiettivo a soggetto e viceversa. Ma è la consapevolezza di aver creato l’aura della fama, per partecipazione diretta, quando questa risultava ancora sperimentazione in arrivo alla massa, dedizione di una cerchia ristretta, di un’élite. Dai Rolling Stones a David Bowie, dai Beatles ad Amanda Lear, niente appare come una natura morta, tutto si manifesta invece come l’induzione rappresentativa di un dialogo intimo, senza alcuna necessità di parole.
Anche nei ricordi, negli scatti più intimi, frutto di un tempo di principio e d’attesa, poco prima che succedesse tutto dopo che il Tutto era già accaduto e sembrava aver cancellato molte cose, come in alcune fotografie in bianco e nero agli inizi degli Anni Sessanta. Al di là della facciata patinata di un fotografo viveur, osannato creatore del look casual, si intravede in filigrana un amante del guardare e non solo del vedere, amico di Picasso, appassionato di John Houston e Orson Welles, inorridito da Fellini e attratto da Visconti, da Howard Hawkes e Billy Wilder, nonché inconsapevole protagonista di un film – a dire di Bailey – noiosissimo come Blow up di Antonioni.
Alla fine del percorso di Stardust resta comunque una domanda, frutto di quel grande senso di vuoto iniziale. Dopo anni di itinerari dedicati alla scena dell’arte contemporanea internazionale, per quale motivo è stata scelta questa immagine, questa mostra per caratterizzare il PAC durante Expo 2015?
Ginevra Bria
Milano // fino al 2 giugno 2015
David Bailey – Stardust
Catalogo Skira
PAC
Via Palestro 14
02 92800917
www.pacmilano.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/42725/david-bailey-stardust/
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