A Milano arrivano le fragole. Dalla Lettonia
Da Careof, l‘unica testimonianza della Lettonia a Expo rimane impressa in una collettiva. Dieci artisti lettoni, tra pittura, scultura, videoproiezioni, fotografie e installazioni sonore diventano humus in cui molti frutti, oltre ogni stereotipo, possono essere coltivati.
Gli spazi di Careof si presentano addensati, ispessiti e con un nuovo peso specifico. Il percorso espositivo è fitto e non lineare, un alveo all’interno di un nucleo più esterno, dove l’incedere del visitatore rallenta, per soffermarsi. L’intento dei curatori di Le fragole del Baltico è quello di conferire al percorso un’aura di domesticità, di interiorità. Un allestimento che include muri colorati, arazzi sospesi, porte/lavagna, alcune tende scure come divisorio per alcuni video, un sofà, una poltrona, una sedia e persino alcune piante grasse sistemate in piccoli vasi, le une sulle altre. Un richiamo a un dettaglio immancabile nelle superfici di case, studi e perfino spazi espositivi lettoni; decorazione che suggerisce di leggere i lavori presentati, le fragole di questa rassegna, come evocazioni, sostituti del mobilio e degli elementi che circondano la vita quotidiana.
La mostra presenta lavori recenti o creati appositamente da dieci artisti accompagnati da un titolo che suggerisce la vaga, e vagamente esotica, percezione dei Paesi baltici in Europa meridionale. Paesi troppo spesso ritenuti come lande gelide dalle quali non potrebbero mai nascere, né maturare, frutti quali le fragole. Frutti invero molto spesso presenti sulle tavole lettoni. Una metafora iconica che, translitterata alla scena dell’arte contemporanea lettone, prova a far emergere, tra il privilegio della distanza e la superficialità di un primo sguardo, attraverso i lavori di Ēriks Apaļais, Jānis Avotiņš, Ieva Epnere, Kaspars Groševs, Ieva Kraule, Inga Meldere, Daria Melnikova, Ieva Rubeze, Krišs Salmanis e Ola Vasiljeva.
L’itinerario, organizzato da Kim? Contemporary Art Centre di Riga, si districa attraverso la generazione di artisti nati negli Anni Ottanta, astenendosi volutamente dal fondare una tesi o dal formulare, ricercare una scrittura visiva propria, facendo però emergere alcuni elementi connotanti fra i lavori, interventi spesso disseminati a pavimento, fonti di richiamo tra il recupero della memoria e un suo superamento. Come nei dipinti e nelle piccole sculture in gesso di Inga Meldere, che evocano vivaci storie brevi, o nella serie di fotografie di Ieva Epnere, che raffigurano studenti che portano fiori ai loro professori il primo settembre, obbedendo a una consuetudine nata in epoca sovietica. Un forte sentimento del paesaggio, del tempo atmosferico, dell’alternanza delle stagioni, che si ritrova in alcuni degli arguti, ingegnosi video di Krišs Salmanis.
Abbiamo approfondito il progetto con uno dei due curatori, Simone Menegoi.
Quali visioni, tematiche, ossessioni, tensioni accomunano la generazione di artisti selezionati?
La mostra nasce come una ricognizione di arte lettone recente; io e la curatrice lettone, Zane Onckule, non abbiamo voluto forzare la selezione costringendola ad aderire a tutti i costi a un tema. Abbiamo scelto gli artisti secondo un criterio anagrafico (sono nati quasi tutti fra la fine degli Anni Settanta e l’inizio degli Anni Ottanta) e secondo la nostra personale idea di qualità.
Nessun fil rouge fra gli artisti?
Mi sembra che ci siano nella mostra dei caratteri ricorrenti, che emergono in personalità anche molto diverse fra loro: un certo gusto per la decorazione (la Lettonia ha una forte tradizione di arti applicate); uno humour che tende all’assurdo e al surreale; una diffusa malinconia; una sensibilità per il paesaggio naturale e per il cambio delle stagioni.
Questi artisti quale rapporto mantengono con la storia e con la gestione della memoria del loro Paese d’origine?
Se per “memoria” intendiamo quella della Storia e dei suoi traumi – quella, per intenderci, che è la protagonista delle opere di un altro baltico, il lituano Deimantas Narkevicius – allora posso dire che non si tratta di uno dei temi favoriti degli artisti lettoni che hanno fra trenta e quarant’anni. Semmai sono interessati a cogliere il riflesso delle vicende storiche in quelle familiari, o a concentrarsi su aspetti apparentemente minori del passato.
Fa eccezione Jānis Avotinš, che si è imposto a livello internazionale con i suoi dipinti e disegni in cui larve di figure e di architetture evocano chiaramente l’era sovietica e il suo grigiore.
Quale aspetto della Lettonia contemporanea ti ha maggiormente colpito?
È difficile sceglierne uno. Forse il fatto che, malgrado l’occidentalizzazione accelerata seguita all’indipendenza del 1991, i segni del passato sovietico sono ancora visibili, anche se sempre meno.
Quale metafora, quale simbologia porta in sé il titolo della mostra scelta per rappresentare i dieci artisti?
Il titolo è in parte ironico, e allude al fatto che per lo più noi europei del sud non sappiamo molto delle repubbliche baltiche. Le associamo al gelo e ai cieli grigi, tanto che un’espressione come Le fragole del Baltico suona come una specie di poetico ossimoro, l’espressione di un’impossibilità. Invece le fragole, in Lettonia, ci sono davvero, anche se maturano più tardi che da noi. Analogamente, l’arte contemporanea cresce in riva al Baltico, anche se noi ne sappiamo piuttosto poco.
Quali tipologie di interventi si avvicendano in mostra? È maggiormente indagato il registro dell’analogico o del digitale? Potresti portare qualche esempio?
La mostra è il trionfo dell’analogico! A fronte di una manciata di video, ci sono dipinti, disegni, acquerelli, un tappeto, ceramiche… Come accennavo prima, c’è un gusto per tecniche tradizionali e perfino abitualmente associate alle arti decorative. Ma non vi aspettate ingenui manufatti neo-folcloristici. I giovani artisti lettoni hanno un gusto smaliziato e cosmopolita, e il loro recupero di certe tecniche dialoga in modo consapevole con le tendenze internazionali in questo senso.
Come definiresti, in poche righe la scena dell’arte contemporanea lettone? Esistono reti, sistemi dedicati a intrecciare i diversi spazi espositivi istituzionali o privati?
La Lettonia è un Paese relativamente piccolo (ha circa due milioni e mezzo di abitanti, distribuiti su una superficie che è un po’ più di un quinto di quella italiana); anche la scena artistica è piccola, e si concentra quasi tutta a Riga. Pochissime le gallerie private, mentre ci sono alcuni spazi pubblici per l’arte contemporanea.
Il più vivace e aggiornato mi è sembrato kim? (scritto così, con il punto di domanda: le tre lettere sono l’acronimo della frase lettone “che cos’è l’arte?”), uno spazio non profit che gode di finanziamenti pubblici, e di cui Zane è la direttrice artistica. Dal 2009, quando è stato fondato, kim? non ha solo proposto una fitta programmazione di mostre, screening, performance, conferenze, seminari, eccetera; ha anche creato una rete di collaborazioni con individui e istituzioni legati all’arte. La rete di contatti di kim? è stata determinante per la mia esplorazione della scena lettone.
Potresti esprimere un pensiero, o formulare un augurio che accompagni Le fragole del Baltico?
Ovviamente, l’augurio è che la mostra contribuisca almeno un po’ a far conoscere l’arte lettone in Italia.
Ginevra Bria
Milano // fino al 19 luglio 2015
Le fragole del Baltico
a cura di Simone Menegoi e Zane Onckule
CAREOF
Via Procaccini 4
02 3315800
[email protected]
www.careof.org
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