Fonderia Battaglia. Una fucina di forme a Milano
A Milano, cinquanta opere di venticinque artisti celebrano le Giornate dedicate alla Regione di Bruxelles-Capitale al Padiglione del Belgio a Expo 2015. Il titolo della mostra, “Forme e Antiforme”, proviene da un lavoro di Boetti, le cui opere saranno presenti insieme a quelle di Fontana, Broodthaers, Stanley Brouwn, David Claerbout e Vu Dan Tan.
George Brecht e Marcel Broodthaers, ma anche Stanley Brouwn, David Claerbout, Vu Dan Tan, Thierry De Cordier, Wim Delvoye, Angel Vergara, Didier Vermeiren, Lawrence Weiner e Franz West: sono solo alcuni nomi che hanno calcato il cortile interno e gli spazi industriali della fonderia di via Stilicone. Ma non bisogna perdersi fra le brecce di Duchamp, la seduta in ferro di Franz West e le ironie di Sonia Niwemahoro, giovanissima artista belga-ruandese. Il percorso dal titolo Forme e Antiforme, a cura di Hans De Wolf, mira infatti ad assorbire l’essenza della città ospitante, in questo caso Milano, allo scopo di presentare un’esposizione che metta a confronto una dimensione culturale, storica ed estetica con alcuni artisti belgi nel mondo.
Tra mimesi e dicotomie, la mostra è accompagnata da un programma di incontri e conferenze che coinvolgeranno personalità del mondo della cultura, dell’arte, dell’architettura e del design come Jean-Francois Chevrier, Eugen Blume, Diedrich Diederichsen, Paul Robbrecht e Walter Van Beirendonck. L’artista Michel François, invece, sarà protagonista con una sua celebre performance alla Fondazione Prada, per la prima edizione di quello che è destinato a diventare un appuntamento annuale: la Fondazione ospiterà infatti ogni ottobre una performance e un incontro organizzati in collaborazione con la Vrije Universitet Brussels.
Alla Fonderia Battaglia, tre sedie di Joseph Kosuth si affiancano a una copia di Concetto Spaziale e al piedistallo emancipato del belga Diedier Vermeiren, viene esposto di fronte a un piedistallo privato dell’opera, proveniente da un museo milanese. L’arte concettuale propone dunque un raffronto tra due visioni, territorio costellato da mentalità differenti, tra ricerca estetica e necessità espressiva, tra forma e anti-forma.
Prova ne è anche il titolo dell’itinerario, Forme e Antiforme, tratto quasi interamente dal lavoro di Boetti, come afferma il suo curatore.
I tuoi studi in archeologia come risuonano, implementano e lasciano un’impronta nella curatela di Fome e Antiforme?
In realtà anche l’archeologia indaga l’evoluzione insita nella cultura dei tempi, delle epoche. Sviluppo che è stato influenzato moltissimo dal ritrovamento di uno spontaneo modo d’operare, una sorta di equilibrio tra l’oggetto quotidiano e la bellezza racchiusa all’interno dell’oggetto. Molti artefatti archeologici esprimono questa armonia.
Comunque, come ha affermato una volta il grande compositore Helmut Lachermann, tutto cambia nel momento in cui un individuo decidere di disconnettersi dal sistema con l’intenzione di osservarlo. Fino a che le persone saranno desiderose di bellezza, un’intera comunità sarà unanime nel modo in cui apprezzerà quello di cui la bellezza è composta. Nel momento in cui un singolo osservatore avrà il permesso di prendere le proprie distanze, una sorta di contro-tradizione potrà sempre e inevitabilmente svilupparsi.
All’interno del percorso espositivo, quali lavori possono essere considerati forme e quali, all’opposto, possono incarnare le anti-forme? Impareremo attraverso di essi a definire entrambe le dimensioni?
Il miglior modo per indagare i termini di questa domanda è attraverso un’analisi del lavoro di Boetti dal titolo Ordine e Disordine. La mostra esprime, di riflesso, una costante tensione tra la forma suprema e quella massima, estetica che investe l’oggetto del design e una varietà di lavori che potrebbero solamente definirsi come il risultato di un’attitudine dei propri creatori, gli artisti, sempre necessariamente marchiati dal loro bisogno di disordine, necessario alla crescita nella creatività.
In effetti, a livello di Forme, è definibile un solo singolo lavoro, in mostra: una seduta di design prestata da La Triennale di Milano. Bisogna comunque essere chiari in merito a un importante elemento: nel pieno rispetto della sedia di design, la maggior parte dei manufatti artistici esposti può essere definito come Antiforme senza significare che questi siano in diretta opposizione, o che si collochino, in qualche modo, su un versante negativo. Questi ultimi appartengono semplicemente a un’altra tradizione.
In che modo la selezione dei lavori entra in dialogo con gli spazi della Fonderia Battaglia? L’assenza totale di un’esperienza white cube come inficia l’allestimento, la trasmissione del loro linguaggio e la presentazione al pubblico?
La tensione tra il progetto espositivo e la sua sede risulta essere una sfida interessante per qualsiasi curatela. Siamo estremamente felici di essere riusciti a portare la mostra all’interno di una parte degli spazi dedicati alla Fonderia Battaglia. In questo caso, in particolare, il progetto espositivo ha infatti dovuto negoziare i propri intenti con, i propri scopi con un numero di spazi dotati da un proprio, forte carattere architettonico. Questo è un esercizio realmente complicato nel quale contenitore e contenuto devono accettarsi l’uno con l’altro.
Se questo dialogo funziona, un senso davvero particolare, quasi poetico, viene messo quasi immediatamente in risalto come nel caso dell’opera di West, Rauch, che intraprende una relazione con l’ingresso industriale dell’intero edificio. In diverse occasioni, una magnifica, inaspettata coerenza che può anche essere definibile come magia viene incontro e crea collante tra la mostra e il territorio strutturale che la ospita. Sono fortemente convinto che questo tipo di relazione interiore, non sia più possibile, non così fortemente, all’interno dei cosiddetti, spazi della regolarità: i white cube.
Come le caratteristiche di questa mostra delineano l’esistenza di un processo di diplomazia culturale, tra Milano e Bruxelles? Potresti offrire una definizione di questa accezione, elencando alcuni esempi di questo fenomeno?
Il nostro primo progetto, nel 2010, ci ha guidato quasi accidentalmente a Shanghai. È in quella città che abbiamo sviluppato per la prima volta la nostra metodologia, combinando un progetto espositivo con l’accompagnamento culturale di un programma accademico. A Shanghai abbiamo appreso durante lo svolgimento che non ha senso portare semplicemente alcuni lavori in un Paese straniero se non si considerano allo stesso tempo lo sforzo di renderli territorialità per il cuore e l’anima del pubblico locale. Dobbiamo ammettere che avremmo dovuto essere noi stessi i primi a risultare sorpresi, dagli effetti di questa formula: non abbiamo semplicemente e solamente sviluppato una rete di amici, accademici e artisti, ma siamo riusciti anche a raggiungere determinati risultati. Alla fine, un progetto, si rivela sempre come il principio di un dialogo continuo.
Abbiamo realizzato questa mostra come una sorta di pietra miliare a Shanghai, ospitando anche numerosi artisti cinesi di riferimento a Bruxelles. Milano è la prima città con la quale proviamo a sviluppare una metodologia simile in Europa e ci auguriamo che gli effetti siano ugualmente dirompenti, soddisfacenti. In questo modo potremo continuare in futuro a collaborare in maniera estensiva con la scena dell’arte milanese, le accademie, le scuole d’arte e le università. Che dunque la mostra, adesso, possa essere un punto di inizio per questo percorso!
Potresti esprimere un pensiero o formulare un augurio che accompagni questo appuntamento culturale?
Non esiste alcun Paese in Europa che abbia così tanto modellato l’identità del continente in maniera altrettanto determinata e per così tanto tempo come ha fatto l’Italia. Vorrei augurarmi che una certa varietà di artisti italiani siano attualmente ispirati da Fabro, che era di origini milanesi. Lui che era una figura-chiave dell’avanguardia, ma che non ha mai creduto, nemmeno per un secondo, che la rivoluzione avrebbe mai potuto essere compresa come un tema serio. All’opposto lui ammirava sinceramente e accettava nel suo lavoro l’incredibile ricchezza dell’artigianato italiano, che lui ha adottato senza, nuovamente, renderlo un elemento stilistico eccessivamente di rigore. Tutto quel che lui avrebbe sempre voluto fare era mantenere il proprio pensiero, la propria mente liberi, e si è sempre dimostrato un uomo estremamente di successo nel compiere questo scopo.
Ginevra Bria
Milano // fino al 18 ottobre 2015
inaugurazione: 23 settembre 2015 ore 18.30
Forme E Antiforme
a cura di Hans De Wolf
FONDERIA ARTISTICA BATTAGLIA
Via Stilicone 10
02 341071
[email protected]
www.fonderiabattaglia.com
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/47988/forme-e-antiforme/
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