Barcellona. Quando Miró sfidò la pittura

Fundació Joan Miró, Barcellona – fino al 17 gennaio 2016. Una mostra ripercorre la carriera del grande surrealista. Analizzando, per la prima volta, la presenza costante dell’oggetto nelle sue opere e il ruolo fondamentale che questo ha avuto per raggiungere il suo scopo: “Assassinare la pittura”.

ASSASSINARE LA PITTURA
Miró y el objeto occuperà le sale della Fundació Joan Miró di Barcellona fino al 17 gennaio. L’esposizione, che nella primavera del 2016 si sposterà al CaixaForum di Madrid, riunisce 120 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, europee e americane. Tra pitture, ceramiche e sculture, si percorre la lunga produzione mironiana dal 1916 al 1981.
L’itinerario, articolato in sei sale, regala allo spettatore una panoramica del lavoro di Joan Miró (Barcellona, 1893 – Palma di Maiorca, 1983), evidenziando l’intenso dialogo tra oggetto e opera. È attraverso la sperimentazione di varie tecniche, dichiara il curatore William Jeffett, che Miró riuscirà a rompere definitivamente i canoni classici, il rapporto con la pittura accademica. Questo è il significato di quella volontà di “assassinare la pittura” proclamata nel 1927 dall’artista.

Miró y el objecto - veduta della mostra presso la Fundació Joan Miró, Barcellona 2015

Miró y el objecto – veduta della mostra presso la Fundació Joan Miró, Barcellona 2015

MIRÓ COLLEZIONISTA E COLLAGISTA
Nella prima sala si scopre un Miró collezionista. Raccoglieva oggetti trovati per caso, che poi conservava gelosamente. Sono esposti in vetrina, come un cabinet des merveilles, diversi oggetti appartenuti all’artista. È il museo immaginario degli object trouvé, silenziosi inquilini dello studio di Miró. L’artista se ne serviva per far scattare quella “scintilla magica”, la fonte dell’ispirazione nata dalla scoperta casuale. Testimone di questo processo creativo è il supporto per ferro da stiro, presente nel suo studio, rappresentato in La espiga de trigo del 1922. Questa natura morta, proveniente dal MoMA di New York, è tra le prime rappresentazioni pittoriche di un oggetto realizzata da Miró. L’artista introduce, volutamente, un oggetto di uso quotidiano per rivendicare il valore artistico di oggetti umili.
Seguendo il percorso espositivo, dalla semplice rappresentazione pittorica dell’oggetto, Miró passerà a utilizzare il collage e l’assemblage per incorporare fisicamente l’oggetto stesso nell’opera. Nella seconda sala sono presentate, infatti, le opere che porteranno Miró a liberarsi dalle leggi accademiche e a compiere l’assassinio della pittura.
Sono gli anni dell’incontro con André Breton, quando Miró diventa tra i maggiori esponenti del Surrealismo. La percezione convenzionale della realtà viene distrutta. Opera significativa in questo senso è Portrait d’une danseuse, del 1928, proveniente dal Centre Pompidou di Parigi. In linea con il principio surrealista delle libere associazioni mentali, Miró crea l’immagine di una ballerina dall’unione di elementi incongrui: la danzatrice è uno spillo gigante e il gonnellino di tulle una piuma. Utilizza, quindi, oggetti assemblati per dar vita a un’immagine suggestiva e a nuove relazione poetiche. Miró supera così, in questi anni, la mera rappresentazione pittorica, collocando l’oggetto al centro della sua nuova poetica artistica.

Joan Miró, Portrait d'une danseuse, 1928 - Centre Pompidou, Parigi - © Successió Miró, 2015 - photo Philippe Migeat

Joan Miró, Portrait d’une danseuse, 1928 – Centre Pompidou, Parigi – © Successió Miró, 2015 – photo Philippe Migeat

L’ARTE BRUCIA
Le tre successive sale mostrano il passaggio dal collage alla scultura. Miró ingloba l’oggetto nelle sue tele, che assumono volume fino a conquistare la terza dimensione. La trasformazione dell’opera in oggetto è ormai avvenuta. Diversi sono i materiali sperimentati dall’artista per i suoi oggetti-scultura: il ferro, la ceramica e il bronzo, a volte riuniti da Miró in un’unica opera. Il punto di partenza è sempre l’objet trouvé che, attraverso un processo di metamorfosi, diviene scultura. Non rappresenta più se stesso, ma genera nuove forme e associazioni poetiche.
Ma è solo nell’ultima sala che ci rendiamo conto della genialità di un artista che lotta per creare immagini antipittoriche. Aveva ottantuno anni quando, nel 1974, realizza una serie di tele bruciate per la sua retrospettiva al Grand Palais di Parigi; oggi esposte nella sesta sala, la sala dell’antipittura. Brucia le sue opere, in una furia antivisiva e iconoclasta, per dimostrare come il linguaggio artistico debba essere libero e radicale. Bruciando, le tele perderanno il loro valore economico: è una critica diretta al mercato dell’arte, che riduce l’arte a merce, cancellandone il valore poetico.
Miró invita lo spettatore a guardare oltre la superficie della tela: brucia il vecchio concetto di pittura “per far rinascere un’arte più pura e autentica”. Bisogna ritornare al contatto primordiale con le arti, giocare con queste, astenendoci da inutili canoni estetici, per costruire metafore visive. Il tutto si può fare a partire da un semplice oggetto.

Ilaria Termolino

Barcellona// fino al 17 gennaio 2016
Miró y el objecto
a cura di William Jeffett
FUNDACIÓ JOAN MIRÓ
Parc de Montjuïc
+34 (0)934 439470
[email protected]
www.fmirobcn.org

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Ilaria Termolino

Ilaria Termolino

Ilaria Termolino nasce a Roma nel 1988, laureata in studi storico-artistici presso l’Università La Sapienza con una tesi dal titolo “L’arte contemporanea catalana durante la dittatura franchista. Il caso Dau al Set”. Vive e lavora come curatrice e ricercatrice indipendente…

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