Serendipità di una mostra difettosa. Al Macro di Roma
Macro, Roma – fino all’8 maggio 2016. Il museo capitolino propone una rassegna sul corpo e il volto nell’arte contemporanea. Ma i grandi nomi del Novecento risentono di una pianificazione approssimativa.
LE ASPETTATIVE…
Speravamo che questa mostra non fosse solo l’ombra di quella dedicata a Gillo Dorfles e curata da Achille Bonito Oliva. Le premesse, in effetti, erano buone. Il sensazionalismo del titolo stuzzicava dai curiosi di psicoanalisi ai conoscitori d’arte contemporanea. Si era accolto con un guizzo plaudente anche il proposito di valorizzare le collezioni capitoline e di tornare a ragionare sul ruolo di volto, corpo e identità nell’epoca attuale; il pubblico del MACRO era stato addirittura chiamato a inviare il proprio selfie per prendere parte all’iniziativa. Insomma, appariva una proposta popolare, attraente e ricca di spunti interessanti.
… DELUSE
Tuttavia, una volta lì, ci si rende conto che l’esposizione non è nulla di più rispetto a ciò che annuncia di essere. Non vuole generare domande o curiosità riguardo alle opere o ai temi prospettati; anzi, il risultato finale è uno sciorinamento confuso, che ha per effetto la frustrazione dello spettatore. Ci si sente alla deriva, incapaci di trattenere una qualsivoglia idea o di creare correlazioni profonde.
Tanti lavori, di tecniche e periodi volutamente diversi, accomunati dal solo fatto di riguardare la figura umana, si accalcano in maniera chiassosa: video di Acconci, Schifano, Nauman; autoritratti di de Chirico, Guttuso, Bertina Lopes; ritratti di Ontani, Clemente, Giosetta Fioroni, per citarne alcuni. A ciò si aggiunge un focus all’apparenza casuale su Moravia e Bonito Oliva. Poche cose, dunque, si salvano dal marasma, come la videoinstallazione di Mariana Ferratto, Allo specchio (2015).
L’apparato critico debole (con qualche refuso, se vogliamo essere impietosi) decontestualizza e sminuisce ciò che si guarda, impedendo di oltrepassare il concetto semplicistico di “ritratto”.
Perfino le sezioni del percorso si limitano a due scarni hashtag (#EgosuperEgo e #Alterego), due etichette isolate che potrebbero voler dire tutto e niente: grazie a questi fumosi riferimenti psicoanalitici, le opere sembrano lasciate democraticamente al caos della libera interpretazione. Perciò il ragionamento si frantuma in mille spiegazioni possibili e tutti quegli spunti che avevano attratto inizialmente rimangono input sconnessi.
IN CONCLUSIONE
Considerato il calibro dei lavori proposti, scaturisce però da sé una riflessione sulle capacità devianti e avvilenti della comunicazione superficiale, più che sulla storia contemporanea del ritratto – o della “pittura di genere”, come viene definita vagamente; da qui un pensiero sulla necessità di distinguere, nella miriade di fonti cui abbiamo accesso, tra il pregevolmente sintetico e l’approssimativo. Dunque, se pensiamo a questa mostra come un’opportunità per ragionare su tale questione, possiamo definirla efficace.
Giorgia Coghi
Roma // fino all’8 maggio 2016
Egosuperegoalterego
a cura di Claudio Crescentini
Catalogo Palombi
MACRO
Via Nizza 138
06 671070400
[email protected]
www.museomacro.org
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/49490/egosuperegoalterego/
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