Yan Pei-Ming. Tributo alla Città Eterna
Villa Medici, Roma – fino al 19 giugno 2016. Grande pittura nella Capitale. E un nome tra i più celebri sulla piazza internazionale. Yan Pei-Ming, origini cinesi e una formazione europea, rende omaggio a Roma con una serie di tele che citano icone immortali. Da Pasolini a Caravaggio, dai Papi alle rovine, arrivando fino alla tragedia dei migranti nel Mar Mediterraneo…
CITAZIONI PREZIOSE
Ha fatto il ritratto alla Gioconda (in lacrime), suggerendo il paragone con quella (baffuta) di Duchamp; ha dipinto Mao, con warholiana attitudine seriale; ha prediletto le figure di papi e cardinali, nel segno di una certa eco baconiana; ha modellato il volto di Picasso, con tocchi vigorosi di pennello; ha rifatto Il 3 maggio 1808 di Goya, nei toni di un vermiglio incendiario. E ha citato Rembrandt ed El Greco, tra i fari del suo cammino di pittore.
Sensuale e preziosa, la pittura di Yan Pei-Ming (Shanghai, 1960) s’intitola al tragico e trabocca di citazioni. Pittura come forma di sguardo e d’esistenza. Una maniera di sentire intensamente il mondo, ri-generandolo: qualcosa che somigli all’erotismo. O al tormento.
Tra le sale di Villa Medici l’artista franco-cinese ha portato quell’innesto tra iconografia popolare e slancio gestuale che lo ha reso celebre. Ancora una volta in forma di tributo. Romanticamente.
RITRARRE LA CAPITALE
Tele di medio e grande formato costruiscono un ritratto plurale di Roma, spaziando dal cinema alla cronaca, dai monumenti iconici agli scorci di rovine, innescando una dialettica con la città che richiama quella messa in atto da William Kentridge lungo i muraglioni del Tevere, seppur in termini differenti. Brandelli di rappresentazioni note, da resuscitare: la formula è tutta qua. Ciò che colonizza l’immaginario collettivo e che viene santificato nella memoria, si sgretola e risorge sul piano della pittura.
Ci sono Pasolini e Rossellini, con still da Mamma Roma e Roma città aperta; gli attentati a Papa Giovanni Paolo II e Aldo Moro; e poi Fontana di Trevi schiumante, l’Innocenzo X di Velázquez, i capolavori capitolini di Caravaggio.
E ogni cosa – con l’eccezione di alcuni lampi di colore – si spalma nella monocromia luttuosa dei grigi, dei neri, dei blu. Profondità melanconiche, quasi a misurare il tempo con pennellate corpose; tenendosi magistralmente sulla soglia, insidiosa, che separa la poesia dal virtuosismo, l’autentico dal retorico.
LA QUALITÀ DEL COLORE
E a sottrarre la pittura voluttuosa di Yan Pei-Ming a un possibile eccesso mimetico, narrativo, auto compiaciuto, è la sua stessa qualità strutturale. Un lavoro sul senso della storia, mentre la storia si insinua tra le maglie dell’immagine, nella texture di lumeggiature, spatolate, cavità. È l’immagine che si sfalda e viene meno, che è in moto, in crollo, in divenire; che è storia in atto e dunque non solo citazione, monumento, cartolina, tradizione.
In fondo, due grandi dipinti: Mare Nostrum a perdita d’occhio, in cui ombre di cadaveri e imbarcazioni rivelano albe nere di migrazioni. Ancora fatti nudi e crudi, immortalati come fotografie – fuori dal tempo – ma vivificati nella materia presente del colore. Un requiem plumbeo, tra il passato in corsa e il destino muto.
Helga Marsala
Roma // fino al 19 giugno 2016
Yan Pei-Ming
a cura di Henri Loyrette
VILLA MEDICI
Viale della Trinità Dei Monti 1
06 67611
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