Buchi neri e infiniti spazi. Marco Tirelli a Roma
Pastificio Cerere, Roma – fino al 22 luglio 2016. Per celebrare i primi dieci anni della Fondazione Pastificio Cerere, il direttore artistico, Marcello Smarrelli, ha curato un ciclo di personali dedicate ai protagonisti della Scuola di San Lorenzo, coloro che resero celebre il Pastificio negli Anni Ottanta. Dopo le personali di Dessì, Gallo, Ceccobelli, Pizzi Cannella e la collettiva ideata da Nunzio, è la volta di Marco Tirelli.
LA VISIONE E I SUOI ENIGMI
Il lato oscuro del visibile. Il piano nascosto, la soglia opaca: quella finestra ideale che tiene il reale sospeso, a un passo dall’assoluto. Marco Tirelli (Roma, 1956), col suo catalogo di forme esatte eppure instabili, indaga da sempre l’enigma della visione, laddove esso confina con la questione ontologica, col mistero dell’essere e della sostanza.
Una sintassi severa articola geometrie perenni, tra modulazioni di bianchi, neri, grigi, rosa tenui. E ogni cosa sfuma, mentre viene e si impone all’occhio, stimolando – nelle superfici aeree, nei contorni pulviscolari – un esercizio lento dello sguardo. Mettere a fuoco, afferrare ciò che si dà e insieme si sottrae. E al contempo comprendere la propria posizione: al di qua della forma concreta, dinanzi. Ma non evitando di spingersi oltre, se è vero che ogni forma è un varco, un limite che svela un’idea di infinito.
Ed è impossibile non domandarsi cosa ci sia al di là di quei grandi cerchi, allestiti nella sala principale della Fondazione Pastifico Cerere, per l’ultima mostra del ciclo sui big della Scuola di San Lorenzo, a cura di Marcello Smarrelli. Un allestimento serrato inghiotte il bianco delle pareti con cinque corpi scuri, sovradimensionati rispetto allo spazio. Ma non è un errore di calcolo, anzi. Trasformandosi in magneti, in nuclei di energia viva, i buchi neri sembrano spingere verso il centro e ingigantirsi, sdoppiandosi persino nel riflesso sul pavimento lucido. Quasi il tentativo di farlo implodere, lo spazio, di far avanzare il nero finché tutto precipiti in un’altra dimensione.
AL CONFINE DELL’IMMAGINE
A mettere in vibrazione i dischi sono piccole astrazioni grafiche o tridimensionali: affiorate in superficie, giunte da quell’altrove. Testimonianze dell’originario inverarsi dell’immagine, quando proprio l’immagine, per incanto o per iperbole, diventa cosa, materia, entità spaziale. Il confine tra pittura, disegno e scultura, in tal senso, è sempre stato sottilissimo per Tirelli. Ben ancorato a suggestioni poetiche e filosofiche.
Assomiglia invece al gabinetto di un progettista la prima stanza: anche qui si gioca sulla saturazione, con una sequenza fitta di disegni; e anche qui si resta, religiosamente, nel mood meditativo del bianco e nero. Ancora geometrie – linee sghembe, cerchi, diagonali – che però si agganciano al quotidiano. E sono scorci urbani, interni domestici, tavoli, soffitti, facciate. Lavori raffinatissimi e asciutti, avvolti da un calore che stavolta è tutto intimo, umano. Nel punto in cui il rigore incontra l’emozione e l’essenza si rivela a livello della traccia, dell’oggetto comune. Tra caducità e imperfezione.
Helga Marsala
Roma // fino al 22 luglio 2016
Marco Tirelli – Per i dieci anni della Fondazione Pastificio Cerere
a cura di Marcello Smarrelli
FONDAZIONE PASTIFICIO CERERE
Via degli Ausoni 7
06 45422960
[email protected]
www.pastificiocerere.it
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