Sonia Kacem. Intervista con una stella nascente
Avvolgenti, abbattute o nascoste. Sono così le installazioni che Sonia Kacem assembla nella prima grande mostra personale che le tributa la Svizzera. Esito di una residenza di quattro mesi presso il CAC di Ginevra, la mostra è ispirata da aneddoti riguardanti la storia e la funzione originaria degli spazi espositivi.
Sonia Kacem (Ginevra, 1985) si muove nel mondo dell’astrazione recuperando e assemblando oggetti e materiali usati come elementi di costruzione per forme geometrico-astratte attraversate da sottili effluvi lirici. Forme tese a rimettere in atto una serie di sensi tratti dai luoghi espositivi.
La giovane artista svizzero-tunisina possiede una forte propensione alla composizione di materiali di recupero e un’intelligenza spaziale che le permette di stilare un glossario di forme volte a costituire un panorama intimo e oggettivo al tempo stesso.
GRANDEUR E DECADENZA
Al CAC presenta due grandi installazioni di differente natura. La prima occupa un intero piano e consiste in quattro coppie di enormi colonne doriche finemente decorate e disposte a terra l’una sull’altra. Da esse traspare un sentimento di grandeur e decadenza: le colonne sono finte e sono state affittate dal Teatro Courege, dove Kacem ha trovato questi simboli d’impermanenza e di temporalità posticcia che esprimono il suo interesse per il mondo dei materiali trovati, ruvidi e di scarto con i quali Kacem compone una sorta di poesia ermetica visiva.
Poussier de bois è un tappeto di polvere di legno, steso sotto le colonne. Traccia il perimetro della seconda installazione al piano superiore, richiamandola idealmente nella zona più nascosta della mente del visitatore, lì dove la lettura dello spazio in cui ci si trova segue tracciati inconsci e quasi magici.
Gli oggetti del teatro diventano per Kacem un teatro degli oggetti in cui si evoca il dramma dell’inconsistenza esistenziale passando per un incontro fisico con la materia caotica e abbandonata che viene riorganizzata in un linguaggio che mette in discussione la scultura in quanto rappresentazione.
UN INVITO A CAMBIARE PUNTO DI VISTA
Il piano superiore del Centro accoglie la seconda grande installazione: una fasciatura gigantesca di telo-plastica brillante nero, di nuova e lucente fattura, avvolge lo spazio espositivo dividendolo in due settori contrapposti. Nel primo, le opere vengono costrette dentro spazi ristretti e nascosti dalla cortina di plastica, il che rende vuoto e spoglio la seconda e più ampia parte di spazio. Kacem delude le legittime aspettative di visione dello spettatore. Normalmente le opere occupano lo spazio in modo omogeneo, equilibrato. Kacem le schiaccia in una dimensione al riparo dello sguardo, dove i suoi assemblaggi sembrano vivere un’esistenza protetta e avulsa. Con la plastica costruisce un blocco che impedisce la visione lineare. Ognuna delle quattro sale attraversate dalla cortina presenta modalità di accesso differenti a ciò che essa nasconde. Il visitatore è costretto a “danzare” negli spazi, ora portando il corpo verso terra, ora elevandolo oltre la propria statura.
Solo facendo così (o al limite aiutandosi con uno smartphone nel ruolo di prolungamento dei propri occhi) il visitatore accede agli “objet trouvé” (come testiere di letti d’epoca) e agli oggetti ricostruiti (come gli scheletri di abat-jour ingigantiti e tradotti in forme primarie) che vivono la loro esistenza separata dal reale, perfino da quella realtà che fornisce a ciascun oggetto d’arte la possibilità di essere visto da noi attraverso un punto di vista comune e condiviso, “ad altezza (in tutti i sensi) d’uomo”.
L’ABBRACCIO FINALE
Kacem crede nei materiali di recupero, specie quelli di natura edile. La sua arte ecocompatibile traduce in forme astratte tridimensionali la catastrofe, ma nel senso che questo termine aveva nel teatro greco antico in quanto risoluzione tragica di un blocco derivante dallo stallo di due forze antagoniste. A questa visione dualistica si rifà anche un’opera appartata, quasi fuori dal coro, come Abbraccio.
A differenza delle altre installazioni però, dove l’artista usa per titoli i nomi dei materiali usati (come a voler negare possibili antropomorfizzazioni), in questo incontro plastico tra un telo di plastica e uno di tessuto dello stesso tono di grigio, Kacem sembra voler costruire un apice emotivo, un trompe l’oeil che risuona di armonie segrete, come a voler dimostrare che gli oggetti e i materiali sanno anch’essi procurarsi un’anima quando, nelle mani di un’artista, assumono il senso di una vita sentimentale.
Nicola Davide Angerame
Ginevra // fino al 14 agosto 2016
Sonia Kacem – Night Shift
CAC
Rue des Vieux-Granadiers 10
+41 (0)22 3291842
[email protected]
www.centre.ch
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