Una danzatrice del tempo. Betye Saar da Prada a Milano
Fondazione Prada, Milano – fino all’8 gennaio 2017. La curatrice Elvira Dyangani Ose presenta, per la prima volta in Italia, un’artista americana che racconta l’incertezza della storia. Sullo sfondo di un Paese, gli Stati Uniti, tutt’altro che privo di macchie.
UNA SPIRALE CREATIVA
Il lungo corridoio regolare della Galleria Sud è stato scavato, disegnato e parcellizzato da sezioni circolari. Un labirinto cerebrale, intuitivo e intimo, generato da pareti temporanee grigie che regolano con estrema cura la visita, rallentandone il percorso, attraverso un’ottantina di lavori. Installazioni, incastonature, collage e lavori scultorei, creati in cinquant’anni, riuniscono testimonianze a raccolta, tra spiritualità e conoscenza collettiva, databili tra il 1966 e il 2016.
La curatrice Elvira Dyangani Ose introduce per la prima volta in Italia una rassegna antologica concepita per mostrare l’estensione dell’artificio, della ricomposizione, nelle mani e negli occhi di un’artista che, nonostante la produzione instancabile, è rimasta per troppo tempo –perlomeno in Europa – silente. Uneasy Dancer, titolo scelto dalla stessa artista, è l’espressione con cui Betye Saar (Los Angeles, 1926) definisce se stessa e il proprio lavoro che “segue il movimento di una spirale creativa ricorrendo ai concetti di passaggio, intersezione, morte e rinascita, nonché agli elementi sottostanti di razza e genere”.
RITUALI LENTI
Sebbene l’avvicendamento materico dei lavori possa rievocare un flusso di coscienza, che esplora il misticismo rituale presente nel recupero di storie personali, le iconografie esposte, tratte da oggetti e immagini quotidiani, si aprono allo sguardo molto lentamente, non lasciando intravedere mai abbastanza, mai immediatamente di quel che Saar, oggettivamente, ha saputo trovare, conservare, recuperare e infine accostare. Operazioni di abilità della trasformazione, di manodopera dell’immaginario, devozioni della memoria femminile, di precise radici storico-geografiche e dell’identità, della blackness afroamericana, messe in atto su scala diversissima. Riti capaci di addensare oggetti, ricordi, probabilmente preghiere ed evenienze a partire da pochi centimetri quadrati, per poi occupare volumi interi.
LE OPERE
The Alpha and The Omega (The Beginning and The End) (2013-16), ad esempio, con la luce azzurrina che ne riempie ogni ombra, un ambiente posto all’inizio del percorso, restituisce all’intera mostra un arrivo opposto, aereo e diradato, una stanza della predizione, concepita per l’esposizione, e include una serie di nuovi elementi che rappresentano l’idea di ritorno della vita. A poca distanza, all’esterno, Mystic Window for Leo del 1966 e The Phrenologer’s Window II, sempre del 1966, risalgono la produzione e le visioni di Betye Saar, così come l’astuccio variopinto di Sambo’s Banjo del 1971-72; lavori che non fanno sentire la mancanza di un’opera fondamentale come The Liberation of Aunt Jemima (1972).
“Sebbene si attribuisca a quest’ultimo lavoro il reale avvio artistico di Betye”, sottolinea la curatrice, “non è corretto pensare che la sua produzione possa cominciare dagli Anni Settanta. L’artista a quel tempo era già attiva da una quindicina d’anni, dipingendo tessuti, lavorando nel campo della moda, della stampa, del teatro e persino dell’insegnamento, diventando una figura femminile impegnata e di riferimento nell’area di Los Angeles degli Anni Sessanta”.
Ginevra Bria
Milano // fino all’8 gennaio 2017
Betye Saar – Uneasy Dancer
a cura di Elvira Dyangani Ose
FONDAZIONE PRADA
Largo Isarco 2
02 56662611
[email protected]
www.fondazioneprada.org
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/55695/betye-saar-uneasy-dancer/
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