Imparare a leggere con Roni Horn. Alla Fondation Beyeler
Fondation Beyeler, Riehen/Basel – fino al 1° gennaio 2017. Un riallestimento mozzafiato della collezione e una grande mostra sul Cavaliere Azzurro non mettono in secondo piano l’antologica che l’istituzione svizzera dedica a Roni Horn. Siamo tornati a vederla dopo l’inaugurazione.
COSA OFFRE IN QUESTE SETTIMANE LA FONDATION BEYELER
La visita alla Fondation Beyeler è sempre un’esperienza totalizzante. Comincia dall’edificio discreto e suadente di Renzo Piano (al quale presto se ne affiancherà un altro firmato da Peter Zumthor) e prosegue fra mostre temporanee di gran caratura e una collezione permanente che tale non è, con la continua rotazione di opere che, se non definiamo capolavori, è soltanto per rispetto di Antonin Artaud e per la sua idiosincrasia nei confronti di quel termine.
In queste settimane, e fino all’inizio del nuovo anno, sono ancora visibili due temporanee: quella di Roni Horn, che sfocia felicemente nelle sale dedicate alla collezione – dove una sosta di almeno un quarto d’ora s’impone nello spazio in cui si confrontano come giganti le sculture di Giacometti e le tele di Barnett Newman. Nell’ala opposta del museo, invece, la ricognizione sul movimento del Blaue Reiter si sviluppa con insistenza, trovando il suo culmine scientifico nella sala raccolta dedicata all’Almanacco di Kandinsky e compagni.
IL LABORATORIO DI LETTURA DI RONI HORN
L’utilizzo di medium molto diversi tra loro contraddistingue da sempre l’operato di Roni Horn (New York, 1955), e non è così scontato per un’artista della sua generazione. Questa varietà di tecniche rende spesso difficile il suo riconoscimento: in altre parole, la sua cifra è tutt’altro che evidente, essendo in tal senso cifrata.
Un’antologica come quella basilese ha allora una funzione innanzitutto ermeneutica: vedendo in sale attigue una mezza dozzina di serie, emerge una coerenza che è tanto più apprezzabile per il suo essere discreta; una firma non appariscente ma non per questo assente.
E se si dovesse scegliere uno dei vari fil rouge che percorrono questa parte della Fondazione Beyeler, quello della lettura potrebbe essere il più proficuo. D’altro canto, e per citare soltanto le mostre in terra italiana, sia nella personale del 2000 al Castello di Rivoli che in quella del 2006 al Museion di Bolzano (complementare alla coeva rassegna di Edinburgo) emergeva con forza l’interesse di Roni Horn per i processi di scrittura e interpretazione della realtà – in particolare nella serie Still Water (The River Thames, for Example) (1999) a Rivoli e sin dal titolo (Angie and Emily – Dickinson) a Bolzano.
GRAFISMI MULTIMEDIALI
Se adottiamo queste lenti a Basilea, fotografie e disegni, collage e fotografie si rendono più docili alla comprensione unitaria. E le vicende biografiche, a partire dalla fascinazione trentennale per l’Islanda, di converso diventano meno determinanti.
Massima attenzione va prestata ai titoli, perché “sono una rara opportunità per avere un incontro, un’intimità solitaria con il pubblico”, come dichiara la stessa artista in un’intervista con Theodora Vischer, curatrice della mostra. Questa intimità è soavemente mediata nella serie inedita presentata in fondazione: The Selected Gifts, 1974-2015 (2015-16), una serie di doni ricevuti dall’artista e presentati in una lunga serie fotografica, che insieme vanno a comporre “a vicarious self-portrait”, una sorta di rebus che prevede molteplici soluzioni, tutte ammesse proprio perché tese a svelare un’identità (altro tema chiave nel lavoro di Roni Horn) che non è mai e non può mai essere la medesima, fissa e immutabile.
E così a ritroso, nel percorso basilese ci si ritroverà a chiedersi cosa contengano quelle grandi vasche in diversi materiali che sono sparse per la sala vetrata (Water Double, v.1-v.2-v.3, 2013-16); si leggeranno con maggiore attenzione i collage, in specie quelli composti e decomposti con infiniti tagli e ritagli di parole e frasi celebri che subiscono piccole deviazioni semantiche (The Rose Prblm, 2015-16); e poi la serie succitata sul Tamigi, con le sue microstorie nascoste fra i gorghi e raccontate in nota; e ancora la serie a.k.a. (2008-09), con i dittici fotografici che sono espressione di un dialogo interrotto che sta all’osservatore far riprendere; e infine, naturalmente, ci sono i libri della serie in progress To Place, omaggio sconfinato a quell’Islanda magistralmente raccontata da Claudio Giunta e Giovanna Silva in Tutta la solitudine che vi meritate (Quodlibet / Humboldt Books, 2014).
Marco Enrico Giacomelli
Riehen // fino al 1° gennaio 2017
Roni Horn
a cura di Theodora Vischer
FONDATION BEYELER
Baselstrasse 101
+41 (0)61 6459700
[email protected]
www.beyeler.com
MORE INFO:
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