I Passi di Alfredo Pirri. Immagini da un bunker antiatomico in Bosnia
Attraversamenti come visioni. Immagini molteplici e frammentate, a comporre uno spazio circolare, doppio, specchiante. Dentro il grande bunker antiatomico che ospita la Biennale della Bosnia Erzegovina, Alfredo Pirri progetta una grande installazione
“Ho immaginato questo lavoro come lo scomparire di un corpo dentro un luogo, anzi come lo scivolare dentro un’immagine (che stordisce come un bacio)”. Alfredo Pirri racconta, in un breve testo introduttivo, il suo Passi, realizzato in occasione della Seconda Biennale d’Arte Contemporanea presso il rifugio antiatomico di Konjic (Atomska ratna komanda D-0), in Bosnia Erzegovina, con la collaborazione del Ministero bosniaco della Difesa. Nell’incredibile struttura voluta da Tito, per decenni rimasta segreta e oggi utilizzata per ospitare la Biannale, l’artista immagina una poderosa installazione, in cui il senso dell’attraversamento si traduce in un’esperienza immersiva e straniante: passi sotterranei, a solcare il suolo come se fosse un incantesimo, una profanazione, un ritrovamento sacro, uno sporgersi al di là.
E dunque incedere, come su un lago ghiacciato, che è poi uno specchio in mille pezzi, lasciando che coincidano il passo e la visione: fare proprio uno spazio, calpestarlo, esplorarlo – in una parola esistere, esserci – coincide qui con la possibilità di svilupparne una consapevolezza visiva. E la percezione stessa del luogo, nel riflesso infinitamente moltiplicato, si condensa in un’immagine alterata, differente: l’attraversamento è visione, nel doppio senso di atto del vedere e di cosa vista, dal momento che specchiandosi ci si guarda procedere, visti e vedenti a un tempo.
Lo spazio segreto e notturno di Pirri non ha, per altro, una forma lineare: curvo, mosso, e pertanto vivo, si raddoppia nello specchio fino a diventare circolare. Un occhio, dirà l’artista. Che è metafora assoluta della visione. “Uno spazio ipogeo con l’aspetto sepolcrale di ogni ambiente sotterraneo. E’ come stare nel cuore di una piramide, nella sala del Faraone, ma a differenza di questa è privo di decorazioni. E’ uno spazio di cemento arcuato che raddoppiandosi a terra diventa un cerchio… Non un cerchio ma un occhio!
Il piano di specchio infranto affonda dentro il corpo dello spazio come dentro l’occhio tagliato in due dal rasoio nel film di Buñuel: Un chien andalou. Tagliare l’occhio e proporre la cecità come modello per la nascita di una nuova immagine”.
Visione estrema e originaria: l’occhio cieco genera un’immagine interiore, mentale; quell’immagine indistinta da cui derivano tutte le immagini possibili del mondo. Un surplus di visione, scavato nel cuore della cecità.
Il 26 aprile 2013 l’opening di Passi. E intanto, per provare a immaginarselo, un breve frammento video, estratto da un documentario prodotto dalla Rai, con la regia di Giampaolo Penco.
– Helga Marsala
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