Heaven and Earth Magic. Genio e follia dal Palazzo Enciclopedico: tutto il film di Harry Smith
È uno dei personaggi più eccentrici e complessi di questa Biennale. In una delle stanze del Padiglione Centrale ai Giardini si inciampia nel più celebre film di Henry Smith, magnetico e ipnotico. Ecco la versione integrale, insieme alla storia di questo straordinario artista sperimentale e collezionista compulsivo
Imperdibile per ogni cinefilo che si dichiara tale perdere la proiezione del film integrale Heaven and Earth Magic su uno dei muri del Padiglione Centrale ai Giardini. L’opera è di Harry Smith che la raccontò così: “La prima parte descrive il mal di denti dell’eroina, conseguente alla perdita di un’anguria di gran valore, le sue vicende odontoiatriche e il trasferimento in paradiso. Dopodichè il film fa un’elaborata descrizione del suolo celeste con riferimento ad Israele e Montreal, e la seconda parte descrive il ritorno alla terra della protagonista, dopo essere stata mangiata da Max Muller nel giorno dedicato da Edoardo VII alla Grande Rete Fognaria di Londra“.
Smith è un personaggio eclettico, un folle, un artista che ha segnato la storia dell’avanguardia americana del Ventesimo secolo. Fino ad ora si potevano recuperare le sue proiezioni solo all’Antology Film Archives di New York o in qualche sala d’essay sparsa per il mondo. Una figura come la sua nel Palazzo Enciclopedico di Gioni calza a pennello. Il suo incredibilmente ampio range di interessi ne ha fatto uno dei più grandi collezionisti della storia: dall’immensa raccolta di aereoplanini di carta regalati al National Air e Space Museum dello Smithsonian Institute, ai tessuti indiani Seminole, alle uova di pasqua Ucraine. Ovviamente non è ricordato solo per la sua compulsione ad accumulare e indicizzare oggetti, forme e suoni. Appassionato di musica jazz, spese gran parte degli anni Cinquanta in compagnia di Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Thelonious Monk; amico di lunga data di alcuni dei maggiori esponenti della Beat Generation, fu d’ispirazione per Allen Gingsberg, Gregory Corso e Peter Orlovsky. Filmaker, musicolo, pittore e antropologo, coltivò interessi nell’ambito del’occultismo e definì la sua arte in termini alchemici e cosmologici. Nato in Oregon da due teosofi seguaci della spiritista ottocentesca Madame Blavatsky, fu in contatto sin dalla più tenera età con credenze politeistiche (la madre insegnava in una riserva indiana Lumni) che rimasero una costante nella sua ricerca filosofica e spirituale.
La sua avventura archivistica cominciò all’età di 15 anni quando compilò un dizionario dei suoni dialettali Puget. Divenuto poi un grande conoscitore del linguaggio dei segni Kiowa, sviluppò un complesso sistema di transcrizione e collezionò un ingente numero di oggetti sacri, solo una delle innumerevoli imprese di raccolta museologica della sua vita. Trasferitosi a San Francisco Smith divenne parte della comunità bohemien di artisti ed intellettuali e fu lì che si costruì la fama di filmaker sperimentale. Spesso ospite del ciclo di proiezioni “Art in Cinema” organizzate da Frank Stauffacher al Museo di Arte Moderna, divenne assiduo frequentatore dei circoli avanguardisti della Bay Area ma ebbe molti interscambi anche con gli sperimentalisti più a sud come Oskar Fischinger e Kenneth Anger.
I suoi film si basano sulle tecniche del collage a passo uno, con interventi manuali molto accurati e complessi che richiedevano anche anni di elaborazione (proprio come in Heaven and Earth Magic). Questo fa di Smith un caso unico nella storia, sebbene molti coevi e predecessori usassero tecniche simili. Le sue pellicole, alla luce anche degli elementi biografici, sono state interpretate come un’investigazione dei processi mentali consci ed inconsci, mentre l’uso di suoni e colori sono riconosciuti come precursori della psychedelia degli anni Sessanta. Spesso Smith parlò dei suoi film anche in termini di sinestesia tra colori, suoni e movimenti. Nel suo lavoro fu ampiamente infleuenzato da Kandinsky, Marc e tutti coloro che fecero parte della collezione del Museo della pittura Non Oggettiva, poi Guggenheim di New York.
Trovatosi in una situazione di indigenza, propose all’etichetta Folkways Records dello Smithsonian la sua straordinaria collezione di musica vernacolare, per cui venne edita un’intera antologia, riconosciuta poi come fonte di ispirazione per il revival folk americano tra gli anni ’50 e gli anni ’60. Una riedizione nel 1997 ha fruttato allo Smithsonian due Grammy. Smith, invece, ne ha ritirato uno nel 1991 per il suo contributo alla musica folk americana.
Fino alla fine di novembre alla Biennale di Venezia sarà possibile vedere proiettato a grandi dimensioni Heaven and Earth Magic, che resta il suo film più noto, realizzato in differenti versioni tra il 1957 e il 1962: un pamphlet onirico di palese ispirazione surrelista, giocato sull’accostamento improbabile e buffo di simboli misteriosi e tuttavia familiari, da cui, una volta posativi gli occhi, è impossibile staccarsi.
Federica Polidoro
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