Home strange home. La suburbia americana secondo Ian Strange: case come installazioni
Ce n'è una tutta rossa, una con un grande teschio sulla facciata, una avvolta dalle fiamme. Le case che Ian Strange ha individuato tra le periferie americane, diventano grandi opere d'arte. Ma anche soggetti di fotografie e video. In mostra alla National Gallery di Victoria
“Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con le periferie e posso tracciare dei collegamenti, in questo lavoro, con il mio passato di adolescente cresciuto nella periferia di Perth. Sento che sto ancora facendomi molte delle stesse domande che mi facevo allora, ma come qualcuno che a un certo punto se ne è andato e adesso sta guardandosi indietro“. Ian Strange, giovane artista australiano, con base a New York, aveva già lavorato sul tema della casa e delle periferie urbane, partendo da un approccio biografico: nel 2011, a Cockatoo Island, Sidney, presnetava la sua grande installazione Home, in poccasione del festival di street art Outpost. L’opera, monumentale e dal forte impatto visivo, altro non era che la rispoduzione in scala reale della sua casa d’infanzia, con un teschio dipinto su un muro della facciata.
Subito dopo e per due anni interi, Ian si è dedicato a un secondo progetto, Suburban, esentione ed ulteriore articolazione del primo. Insieme a una troupe cinematografica e a gruppi di volontari, ha girato tra l’Ohio, Detroit, l’Alabama, il New Jersey, New York e il New Hampshire, individuando i suoi soghetti e allestendo, tappa dopo tappa, i suoi set. Al centro dell’indagine, ancora una volta, la classica “american house”, non più la sua ma quella di altre famiglie, a cui rubare idelamente identità, memorie, immagini. Case come icone ambigue, non più nidi caldi, accoglienti e sereni, come la classica estetica borghese vorrebbe. Case simbolo, inserite in un sistema di codici condiviso ma spesso ipocrita, certamente controverso, pieno di livelli occulti, tensioni affettive, tragedie quotidiane, fallimenti, dissapori.
Ian ne individua otto e le tarsforma in gigantesche sculture, attraverso interventi radicali. Sono appartamenti della suburbia amerircana, alcuni abbandonati, altri in attesa di essere rasi al suolo, altri concessi grazie a dei programmi artistici finalizzati al rilancio delle comunità. Tutti molto simili: stesso stile e stessa atmosfera, villette candide con giardino intorno e quell’aria old style un po’ country, un po’ romantica, un po’ popolare. Otto case su cui Ian Strange dipinge, stende fiumi di colore, traccia dei segni vistosi o disegna ancora il suo famoso “skull”, fino a decidere, in ben due casi, di affidarsi alle fiamme, appiccando dei roghi con l’aiuto di una squadra di pompieri.
Da questa complessa, entusiasmante, lunghissima avventura, sono venuti fuori un film su tre canali e delle stampe fotografiche. In mostra, alla National Gallery di Victoria, fno al 15 settembre 2013.
“Quello che spero“, ha spiegato Ian in una lettera al curatore David Hurlston, “è che la documentazione di questo lavoro consenta a ogni casa di restare sospesa, fuori da un tempo o un luogo specifici; che gli interventi pittorici, così come i video e le foto, elevino l’immagine di un’architettura suburbana statica facendone qualcosa di altro, di più grande; ciò che ne viene, dunque, è l’icona di una casa, non più una casa specifica“. Case scelte, modificate, reinventate, resuscitate o magari condannate a morte, ma sempre nel segno dell’arte. E dunque dell’eternità. E anche quelle inghiottite dal fuoco, in un rito di purificazione e di azzeramento, hanno scambiato l’anonima demolizione cui erano destinate con un gesto estremo, concettualmente ed emotivamente denso. Immortalato per sempre dall’obbiettivo.
Le case di Iann sono allora icone capovolte: clichè architettonici e sociali, tramutati in immagini inattese che rompono la continuità culturale, visiva, urbanistica, simbolica. Home strange home.
Helga Marsala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati