Cinema e collezionismo. Tre storie d’amore, alla Pinacoteca Agnelli
Tre film, tre collezionisti, tre storie di passione per l'arte, raccontate da tre registi. In occasione di Artissima 2013 la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli presenta una rassegna sul collezionismo contemporaneo. Le incredibili storie di Herb & Dorothy Vogel, Albert C. Barnes e Igor Savitsky
Uno era un chimico statunitense, vissuto nella prima metà del secolo scorso e divenuto celebre – oltre che ricchissimo – grazie a un farmaco antivenereo di sua invenzione, rimedio miracoloso in un’epoca che ancora sconosceva l’uso dell’antibiotico; l’altro era un noto archeologo russo, che, durante una spedizione etnografica, giunse a Nukus, in Uzbekistan, rimanendovi per tutta la vita; e poi una coppia, impiegato alle poste lui, bibliotecaria lei, molto conosciuti nella fervida New York degli anni Sessanta, nonostante la loro vita semplice, apparentemente da “ordinari” cittadini.
Ad accomunarli un unico fattore X. Una passione assoluta, tra sacrificio, genio e quotidiana dedizione: l’arte contemporanea, scelta di vita e improvvisa svolta esistenziale.
Sono le storie di Albert C. Barnes, Igor Savitsky, Herbert & Dorothy Vogel, tutti collezionisti, tutti vissuti nel Novecento, tutti contagiati dallo stesso “virus”, nonostante le biografie così diverse. E tutti ricordati per le loro incredibili raccolte d’arte, ampie, pregiatissime, colte, ma soprattutto segnate dall’imprinting di personalità geniali.
A raccontarli, oggi, dopo tanti articoli di cronaca e d’approfondimento, sono anche dei film. Tre lungometraggi che affrontano con verve narrativa e acume scientifico dei capitoli esemplari della storia del collezionismo contemporaneo. Provenienti dall’archivio dello Schermo dell’arte Film Festival, le tre opere approdano alla Pinacoteca Agnelli, nei giorni bollenti di Artissima: stavolta non una mostra, durante l’art week torinese, ma una mini rassegna cinematografica di soli tre giorni, dal titolo I ♥ Collections, rigorosamente a ingresso libero, con cui la Fondazione sceglie di accogliere il suo pubblico, puntando sulla seduzione del cinema e sul valore di tre vicende eccezionali. Un film al giorno, dall’8 al 10 ottobre, con proiezioni uniche alle 16.30. Versioni originali in inglese, con sottotitoli in italiano, e intanto i trailer su Artribune Television.
The Art of the Steal
di Don Argott – Stati Uniti 2009, 101′
proiezione: 9 novembre 2013, ore 16.30
Il Dott. Albert C. Barnes (January 2, 1872 – July 24, 1951), già medico all’età di vent’anni e poi ricercatore in chimica, nel 1902 lanciò sul mercato l’ Argyrol, un trattamento per la gonorrea che, con le sue doti di business man, riuscì a portare al successo in patria e all’estero, nel giro di pochissimo: dopo cinque anni il suo fatturato era già di 250.000 dollari. Trovatosi milionario a soli 35 anni, Barnes vendette l’attività nel 1929, per un ricavo di 6 milioni di dollari. Mossa vincente e tempismo perfetto, giusto in tempo per scansare il devastante crollo del mercato azionario del ’29 e poi la scoperta degli antibiotici, che avrebbero scalzato i suo popolarissimo antisettico.
Con quell’immenso capitale, Barnes, nel 1922, aveva istituito una Fondazione – con sede a Marion, in Pennsylvania, a pochi chilometri da Filadelfia – a salvaguardia della sua preziosissima collezione d’arte. Un fondo che oggi è valutato oltre 25 miliardi di dollari e che annovera firme di autentici mostri sacri, da Cézanne a Picasso, da Matisse a Modigliani, passando per Renoir, arrivando a oltre 9000 opere.
Oggi accessibile al grande pubblico, la collezione non ha una storia lineare, essendo stata al centro di complesse controversie giudiziarie. Barnes aveva infatti stabilito delle condizioni incontrovertibili di gestione del fondo, che per sua volontà testamentaria avrebbero dovuto essere rispettate anche dopo la sua morte: ingresso al pubblico solo per due giorni alla settimana e unicamente per le scuole, a fini di studio; divieto di prestare le opere; divieto di spostarle; divieto di effettuare riproduzioni a colori; divieto di portare in tour la collezione; divieto di ospitare altre mostre. Un tempio sacro, pressoché inviolabile, allestito secondo criteri personali – né storico-critici, né museografici – e che nella magniloquenza di capolavori senza tempo lasciava emergere la presenza di un unico regista, vero, indiscusso, ingombrante protagonista di tutta la storia.
Le volontà di Barnes, tuttavia, non furono rispettate. E nel 1961, dopo dieci anni di traversie legali, l’accesso al pubblico è stato consentito. Ma le ingerenze e i tentativi di trasformare in business il tesoro di Barnes avrebbero continuato a insidiare i desideri di lui e la memoria originaria di quel museo anomalo, pensato su misura di un uomo solo e impermeabile, per statuto, al tema della condivisione, della valorizzazione e della comunicazione dell’arte.
Il film di Don Argott ricostruisce attraverso innumerevoli interviste e documenti la battaglia di un ristretto gruppo di persone, intenzionate ad acquistare il controllo della Fondazione, per spostare la collezione in una nuova sede museale nel centro di Filadelfia e tramutarla in una grande attrazione di massa.
The Desert of Forbidden Art
Amanda Pope e Tchavdar Georgiev – Federazione Russa, Stati Uniti, Uzbekistan, 2010, 80′
proiezione: 10 novembre 2013, pore 16.30
Giunto per la prima volta in Uzbekistan nel 1950, al seguito di una spedizione archeologica, l’eclettico studioso russo Igor Savitsky – pittore, archeologo e collezionista – ha trascorso la sua vita a Nukus, dove nel 1966 fondò, nel ruolo di direttore, il Nukus Museum.
Un museo dall’altissimo valore storico, situato in una regione poverissima, che conserva una tra le più rare e cospicue collezioni di opere d’arte contemporanea al mondo: migliaia di pezzi, tra disegni e dipinti, quasi tutti realizzati da artisti dell’Asia centrale e da esponenti dell’avanguardia russa, tra capolavori e significative testimonianze dell’arte e dell’artigianato locale. La missione di Savitsky? Salvare questo patrimonio dall’oblio e dall’azione implacabile della censura di regime sovietico. Un gesto di generosità mosso da urgenza intellettuale e da passione, grazie a cui la memoria di un luogo, di un popolo, di una intera generazione di artisti, può ancora essere coltivata. La mitica impresa di Savitsky, insieme alla sua avventurosa biografia, viene ripercorsa dal lungometraggio di Amanda Pope e Tchavdar Georgiev, grazie al racconto di Ben Kingsley, Sally Field e Ed Asner: alla narrazione si intrecciano documenti e testimonianze del presente, mentre scorrono le immagini di tantissime opere, per la maggior parte mai esposte dal pubblico. Perle custodite in un angolo remoto di mondo, al riparo da distruzioni belliche e operazioni censorie, oggi sottratte alla dimenticanza anche grazie a un’opera filmica come questa.
Herb & Dorothy
di Megumi Sasaki, Stati Uniti 2009, 87′
proiezione: 8 novembre 2013, ore 16.30
Fare della normalità un’occasione, una possibilità creativa. Essere una coppia qualunque e insieme, per la comunità dell’arte di New York, essere i coniugi Vogel. O più semplicemente: Herb & Dorothy. Due personaggi incredibili, piccole star della Manhattan anni Sessanta, celebri per la loro metodica, entusiastica, insospettabile passione: comprare opere d’arte e custodirle nella loro casetta di New York, anno dopo anno riempitasi di dipinti, disegni, sculture. E fare tutto con i pochi guadagni di ogni mese: due stipendi da impiegati, semplicemente. Uno investito nell’arte contemporanea, l’altro utilizzato per campare. Tutti i mesi almeno un acquisto, come una cura, come un vizio lieto, come un esercizio spirituale. Due sole le regole da rispettare: prezzo accessibile e dimensioni ridotte, a misura di tasca e di appartamento. Il risultato? Una collezione di oltre duemila opere, valutata svariati milioni di dollari.
Il film racconta questa storia affascinante e non comune, che per una volta non colloca la pratica del collezionismo tra pomposi salotti borghesi e biografie di facoltosi uomini d’affari. Tutto così normale, tutto così esaltante. Herbert Vogel, scomparso nel luglio 2012 all’età di novant’anni, ha lasciato un’eredità preziosa; quella concreta, che brilla delle firme di centinaia di artisti del Novecento, e quella morale: in un sistema che spesso fa dell’arte materia di profitto economico, in quanto status symbol e investimento sicuro, la storia di Herb & Dorothy parla di passione, di progetto, di volontà e insieme d’istinto. Una storia d’amore, scritta tra vita, arte e letteratura.
Helga Marsala
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