Dalle parole alle immagini. L’intreccio enigmistico di Marilù S. Manzini
Ha inaugurato al Palazzo delle Stelline, per poi spostarsi in un altro palazzo storico milanese. Marilù Manzini, con la sua prima personale dal titolo "Poliedrica", presenta una selezione delle sue opere visive. Dopo il successo come scrittrice, la passione per il mondo delle icone
Riprese e montaggio: Marco Aprile
Produzione: Artribune Television
Marilù S.Manzini è una scrittrice. Modenese, classe ’78, esordisce ne 2001 con il romanzo “Bambola di cera”, pubblicando tre anni dopo la sua seconda fatica: “Io non chiedo permesso”, uscito per i tipi di Salani, che diventa presto un caso editoriale. Giovanissima, Marilù conquista la critica e il pubblico con la storia di Giulia e dei suoi amici ricchi, viziati ed annoiati, figli di un tempo nebbioso e incerto, in cui tutto procede verso una deriva implacabile e leggera. Un romanzo generazionale, intriso di un male di vivere tutto contemporaneo, da cui emerge una scrittura promettente. Seguono altre pubblicazioni, da “Il quaderno nero dell’amore”, nel 2006, a “Se siamo ancora vivi”, nel 2008, entrambi pubblicati da Rizzoli.
E in quel suo secondo lavoro, scriveva, a un certo punto, Giulia-Marilù: “È un gioco che facevo da bambina, mettevo la mano con le dita aperte davanti agli occhi e fissavo i visi delle persone, analizzavo i particolari separatamente dal resto della faccia. Un naso, due occhi, una bocca, una fronte e un mento (…) ”. Un gioco al contempo innocente e crudele, capace di rivelare tutto l’orrore nella bellezza e tutta la grazia nella difformità. Gioco necessario per implementare quella acutezza dello sguardo che è il principio costitutivo della parola e della sua potente energia espressiva. Già, perché il gioco di sbirciare quasi di sguincio la realtà si rivela autentica modalità di scrittura. E la parola, è bene chiarire, sarà acuminata, tagliente nella sua limpidezza feroce e implacabile”.
In queste righe c’è già quella propensione dell’autrice per l’immagine, quell’attenzione per lo sguardo e la visione, tradotta precocemente in parole, ma non solo. La passione per la fotografia, la pittura e la scultura, è stata per lei un altro campo d’azione, un piacere coltivato in parallelo.
Adesso, con la sua prima personale al Palazzo delle Stelline di Milano, e il successivo riallestimento a Palazzo Caccia Dominioni, Manzini espone alcuni lavori recenti, in cui le parole e le forme convivono in un gioco dell’eco e dell’incastro dolceamaro. Poliedrica è un esercizio ludico di riflessione intorno alle debolezze, i vizi, le virtù, le piccole manie, le solitudini e le icone pop della contemporaneità. Tre le svariate serie presentate, la più recente è Pista cifrata, ispirata al suo amore per la Settimana Enigmistica: un meccanismo elaborato tramite un software digitale consente di trasporre su tela un’immagine risultante dall’unione di una serie progressiva di numeri. Ne vengono fuori ritratti di miti del rock come Jim Morrison o John Lennon, ma anche paesaggi, oggetti, animali.
Una pratica artistica, quella di Marilù, che non è nè “feroce” nè “implacabile”, come nel caso dell’intenzione narrativa, ma che indugia piuttosto sulla leggerezza, l’ironia, l’eclettismo giocoso, il gusto per le piccole mitologie del quotidiano mixate e dissacrate, tra grafica, fumetto, stilizzazioni pop, divertissement verbali e certi momenti più intimisti. Per lei, la curatrice, Laura Cherubini, parla di una “favola moderna”. Che noi vi raccontiamo con un servizio video, completo di interviste.
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