Wes Anderson interpreta Prada. Un film per una griffe
Un corto ironico e stiloso, ambientato nell'Italia degli anni Cinquanta, che vede ancora insieme Anderson e la celebre maison. Presentato al Festival Internazionale del Film di Roma, ve lo proponiamo qui in versione integrale. Quando la pubblicità diventa cinema
Continua con Castello Cavalcanti, il cortometraggio di otto minuti appena presentato a Roma al Festival di Müller, la collaborazione tra Prada e il regista di origini texane Wes Anderson, inaugurata con il precedente trittico Candy. L’amore reciproco del resto è dimostrato dalle citazioni che la maison italiana gli ha dedicato in occasione di numerose passerelle, ispirandosi a personaggi come Margot Tenenbaum, alias Gwyneth Paltrow, dell’omonimo film del 2001.
Grandissime le maestranze coinvolte: oltre al co-produttore di stirpe reale Roman Coppola e al cugino di questo, Jason Schwartzman, protagonista del film, nei titoli di coda figura Milena Canonero ai costumi (Prada, ça va sans dire), Darius Khondji alla fotografia, e una colonna sonora vintage all’italiana sulle note di Carlo Rustichelli (Dicerie, La Domenica) e Armando Trovajoli (La telefonata). Sorpresa: la protagonista femminile è Giada Colagrande, l’artista italiana, sposata dal 2005 con William Dafoe, conosciuto proprio a Roma sul set del film di Anderson Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Chi se la ricorda per il progetto di arte contemporanea per la Fondazione Volume forse non sa che lei nel frattempo si è fatta strada nel mondo del cinema. Candidata ai Nastri d’argento 2003 nella categoria miglior regista esordiente per Aprimi il cuore, ha partecipato nuovamente al Festival di Venezia nel 2005 con Before it Had a Name (titolo italiano Black Widow) e poi nel 2010 con A Woman.
Nel 2012 ha firmato uno degli episodi di Miu Miu Woman’s Tale, The Woman Dress, e nello stesso anno, sempre a Venezia è stata incensata nelle Giornate degli Autori con Bob Wilson’s Life & Death Of Marina Abramovic, artista con cui ha proseguito la collaborazione per il seguente The Abramovich Method.
Tornando al soggetto del breve film di Anderson, si tratta di una rivisitazione personale dell’immaginario cinematografico italiano. Ci troviamo a metà degli anni Cinquanta, in una cittadella qualsiasi del Bel Paese, dove, sotto le luci a neon di un caffè di piazza, un gruppo di vecchietti è intent a giocare a carte. La quiete è interrotta dal passaggio di una corsa automobilistica che si conclude con l’urto di un pilota americano proprio sotto una statua di Gesù Cristo. Il pilota dovrebbe ripartire subito con il primo autobus, ma decide di gustarsi un piatto di spaghetti in compagnia di un prozio appena ritrovato. Inconfondibile color correction per gli ambienti nel range di toni tra il senape e il terra di Siena, un tocco cartoonesco nella caratterizzazione del personaggio principale, meravigliosi titoli di coda a neon. E l’operazione entra a pieno titolo nella storia della pubblicità d’autore.
Federica Polidoro
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