Claudio Abbado, idealista e pasionario. Una vita in ascolto
Scomparso all'età di 80 anni, Claudio Abbado è stato uno dei più grandi direttori d'orchestra al mondo. Un lungo documentario prova a tracciarne il profilo, tra interviste e preziosi materiali d'archivio, che accompagniamo qui con un collage di pensieri, dichiarazioni, memorie
“Rimpianti? Moltissimi. Per esempio, ho appena riascoltato delle sinfonie di Haydn che incisi molti anni fa. Mi piacerebbe rifarle e credo che lo farei in maniera tutta diversa. Il punto è che non c’è il tempo per tutto. E allora l’importante è affezionarsi e appassionarsi a quel che si sta dirigendo in quel momento”. Così rispondeva Claudio Abbado in una intervista del 2010, su La Stampa. A 76 anni, il maestro, tra i più grandi direttori d’orchestra al mondo, faceva i conti con un tempo insufficiente alla sua dirompente smania di fare, di produrre, di mettersi in gioco. Studiare ancora, cercare, inseguire la musica come se fosse l’idea della vita stessa, la sostanza necessaria. Lo raccontano così, gli amici, i colleghi, gli illustri estimatori: sempre concentratissimo, animato da una dedizione totale, tanto lucido quanto folle, se folli sono il coraggio, il desiderio, la libertà creativa e intellettuale.
Rimpiangeva le cose non ancora fatte, Claudio Abbado. Eppure, a scorrere il suo infinito curriculum, si rimane di stucco. Aveva suonato tutto, ovunque. Da Monteverdi a Luigi Nono, da Verdi a Berg, da Mozart a Schönberg, una vita di sfide e di trionfi, collaborando con i più grandi musicisti, compositori, cantanti lirici, registi internazionali, e dirigendo con un’impronta innovativa le filarmoniche di istituzioni iconiche, dalla Scala di Milano (1968-1986), alla Berliner Philharmoniker, al Wiener Staatsoper.
Defilato, poco mondano, privo di snobismi e di superbia, animato da valori d’eguaglianza e di responsabilità politica, Abbado era l’antidivo per eccellenza. Un uomo semplice, dalla sensibilità altissima e dall’intelligenza rigorosa. Riservato, silenzioso, attento. Un uomo che credeva nella potenza della cultura e nella sua capacità di essere arma personale e collettiva, strumento di consapevolezza e di affrancamento: qualcosa in nome di cui combattere, sempre. Per difenderla, per diffonderla. “Nel ’68, a Milano”, ricordava in un vecchio filmato, “era logico che si cercasse di aprire il discorso culturale a tutti, agli studenti, agli operai, insomma a tutti coloro che sono poi venuti ai concerti, o magari siamo andati noi stessi nelle fabbriche… perché era assurdo che il pubblico fosse soltanto un’elite e basta”. E ancora: “L’esperienza di portare la musica nelle fabbriche, all’Ansaldo, alla Breda, alla Necchi, ha aperto a nuovi ascolti, ha smosso desideri di conoscere”.
Grande amore per l’idea di comunità, grande spirito di giustizia sociale, persino una passione mai celata per Fidel Castro, Abbado non esitava però a ribadire la propria indipendenza: “Per comodità alcuni mi avevano bollato come “comunista”, ma io non sono mai stato in nessun partito. Naturalmente ho le mie opinioni, sostengo le cause che mi sembrano giuste”. Idealista, con ardore e con acume. Sapendo che l’ideale è sempre impalcatura di ogni battaglia, e che non c’è sfida nobile che non possa essere abbracciata.
Nel 2008 aveva lanciato il suo “ricatto ecologico”: a Giuseppina Manin, che in un’intervista sul Corriere della Sera gli chiedeva se ci fosse una possibilità di rivederlo alla Scala, lui rispondeva: “La Milano di oggi non è certo un luogo dove si sostiene la cultura. E neanche il resto, date le condizioni di degrado ambientale in cui versa. Peccato, meriterebbe ben di più”. Niente che potesse convincerlo a tornare? “Un cachet fuori dall’ordinario. Novantamila alberi piantati a Milano. Un pagamento in natura. Se accadrà, sono pronto a tornare. A Milano, alla Scala”.
E quel ritorno ci fu, due anni più tardi, dopo 23 di esilio autoimposto: il 4 giugno del 2010 Claudio Abbado tornò per dirigere l’Ottava Sinfonia di Mahler, ma solo dopo le buone intenzioni palesate dall’allora sindaco Letizia Moratti. Gli fu proposto un piano di riqualificazione green della città, con la volontà di piantare migliaia di arbusti tra il centro e la periferia, valutando persino un progetto di Renzo Piano per un’isola verde in piazza Duomo. Bocciato, quest’ultimo, senza appello: troppo costoso, sentenziò Moratti. E il resto? Inutile dire che i 90mila alberi, a Milano, non arrivarono mai. Giusto qualche centinaio riuscirono ad attecchire, in onore e in memoria di quella provocazione geniale, mortificata da un patto più di propaganda che di sostanza. Anche se, a fronte della promessa fallita, Abbado nella sua città tornò a dirigere nel 2012: la musica, sopra ogni cosa. Invincibile traino, incontenibile vocazione.
Nominato senatore a vita nel 2013, Abbado, a causa della malattia con cui combatteva da un po’, non era riuscito a impegnarsi nei lavori di Palazzo Madama. Ma aveva, con onore e slancio, offerto il suo stipendio alla scuola di musica di Fiesole e in sostegno di alcune borse di studio per i giovani. Quei giovani che aveva costantemente coinvolto, spronato, guidato, portandone decine e decine nelle sue orchestre, da Milano, a Londra, a Berlino.
Claudio Abbado si è spento la mattina del 20 gennaio 2014, nella sua casa di Piazza Santo Stefano, a Bologna. Lo ricordiamo con questo lungo video ritratto, in cui è lui stesso a raccontarsi, mentre scorrono immagini di repertorio, memorie, frammenti del presente e del passato, testimonianze di intellettuali, amici, ammiratori. Un intenso documentario, per raccontare un genio della musica che fu gentleman, poeta, intellettuale, rivoluzionario e uomo generoso: in ascolto, costantemente, perchè “il linguaggio musicale è il linguaggio più aperto: che si parli una lingua o un’altra non ha nessuna importanza. L’importante è capirsi, ascoltarsi. Che poi è un principio di vita“.
Helga Marsala
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