Giuseppe Stampone. Un film su L’Aquila, cinque anni dopo
In anteprima assoluta, su Artribune Television, l'ultimo lavoro di Giuseppe Stampone dedicato alla tragedia dell'Aquila. Domani a Brescia, per l'ultima tappa del ciclo Glocal Tales II, il film è un rinnovato omaggio alla memoria dei morti e dei sopravvisuti. E un giudizio severo sullo status quo
Nel 2011 aveva lanciato Saluti da L’Aquila, un progetto di denuncia, di documentazione e di osservazione critica, con cui Giuseppe Stampone iniziava un lungo percorso artistico, estetico e soprattutto etico, intorno alla tragedia del sisma. 25.000 cartoline, formato 15×24 cm, si misero in viaggio attraverso l’Italia, raggiungendo i responsabili delle Istituzioni politiche italiane e non solo, ma anche i più importanti uomini di cultura, dello spettacolo e dei media internazionali. Una collezione di immagini della città devastata, fotografie dello status quo, frammenti visivi con cui comporre, idealmente, il profilo di un angolo del Paese in sofferenza: a due anni dal terremoto che uccise intere famiglie e massacrò un antico centro storico, la condizione di stasi era (ed è ancora oggi) uno scandalo da non ignorare. Quasi come dentro a un incantesimo malvagio, L’Aquila restava una città fantasma, prigioniera dello choc, delle macerie, ma soprattutto dell’inefficienza politica e della disonestà.
I fatti di cronaca di questi giorni hanno riacceso i riflettori sul lungo processo di ricostruzione, gettando ulteriori ombre su una situazione già dolorosa: intercettazioni a dir poco imbarazzanti, lottizzazioni senza scrupoli, tangenti, interessi economici. E l’ignobile arte di speculare sul dolore, persino sulla morte. Pagine di malcostume e di mala politica che mai, l’Italia, avrebbe voluto leggere. Non dove si sono contati i cadaveri, non dove sono venuti giù chiese e palazzi, non dove il destino ha passato la sua mano impietosa, spazzando via secoli di storia e spazi di esistenza.
Sono trascorsi cinque anni dal sisma. E tre dalla presentazione del progetto con cui Stampone – legato a L’Aquila per ragioni affettive e biografiche – iniziò il suo percorso di sostegno e di riflessione intorno alla tragedia e a ciò che ne seguì. “Non mi bastava quel lavoro, non potevo fermarmi”, ci dice oggi. “Sentivo tutta la responsabilità di continuare a occuparmi de L’Aquila, profondamente disturbato dai tanti che hanno fatto passerelle, che sono andati, che hanno parlato, ma poi sono spartiti. Abbandonandola, proprio come hanno fatto le Istituzioni”. Ed è arrivato, così, un nuovo lavoro. Un film breve e intenso, come un lampo. O meglio, come un sussulto della terra. Presentata domani a Brescia, insieme al video Il viaggio della speranza, l’opera è al centro dell’ultimo appuntamento della rassegna Glocal Tales II, ospitata a negli spazi di Motel b e curata da Francesca Guerisoli. Noi, ve la mostriamo in anteprima.
Saluti da L‘Aquila/5 anni dopo è un gesto radicale, una visione implosa, un segno per scalfire il buio del ricordo e della paura, riportando l’attenzione sulle contraddizioni di una storia tutta sbagliata. Un non-film, potremmo definirlo. La negazione dell’immagine, come operazione concettuale. L’ouverture è affidata a una pomposa sigla hollywoodiana, il celebre intro della Paramount Pictures: adrenalina da celluloide, fasti da grande schermo e tutta l’attesa di una bella fiction. Lo spettacolo sta per iniziare, come se tutto fosse narrazione, invenzione, show, telecamere, prime pagine di giornale. E poi il film, quello vero. Ventitrè secondi di buio e un rumore assordante, vertiginoso: il tempo esatto in cui la terra tremò, quella notte del 6 aprile del 2009. Ore 03.32, un istante, un niente, un inferno: 308 vittime, oltre 1500 feriti e più di 10 miliardi di euro di danni. In soli ventritrè secondi.
Il video di Giuseppe Stampone – asciutto, crudele, categorico – è tutto in questo spazio di follia, in questo buco nero che ha aperto il suolo e ha franato i muri, che ha inghiottito persone e ha lasciato, nell’orrore del trauma, un esercito di sopravvissuti.
I titoli di coda sono un omaggio agli attori veri del film, quelli che non sono stati ai microfoni, che non hanno gestito denari, che non hanno preso decisioni e non hanno scritto la triste sceneggiature del poi. Quelli che c’erano prima, e che non ci sono più. Bianco su nero, una lista secca e luttuosa, a chiudere l’opera: i nomi delle 308 vittime, come unico epitaffio possibile.
Helga Marsala
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