I film italiani candidati all’Oscar? Tutti figli del cliché. Parola di Gabriele Salvatores
Ospite di Lottomatica a Palazzo Barberini, Salvatores parla di cinema italiano e di grandi premi internazionali. Soffermandosi, naturalmente, sul caso Sorrentino. E a sorpresa, il messaggio non è proprio compiacente
Nella cornice istituzionale di Palazzo Barberini, Massimiliano Finazzer Flory ha ospitato Gabriele Salvatores in un vis à vis pubblico. L’occasione era il secondo appuntamento della serie di eventi organizzati da Lottomatica, “Il Gioco Serio dell’Arte”. Tra una proiezione, una citazione e un po’ di cerimonie, finalmente arriva il soggetto tanto atteso: i premi. Ed ecco che mentre tutti sono lì ad incensare Paolo Sorrentino (capofila Finazzer, che lo ha avuto ospite nel precedente incontro), facendo i buoni auspici al suo film, Salvatores prende tutti in contropiede e torna sul tema dell’intervista pubblicata da Davide Turrini sul Fatto Quotidiano lo scorso 17 gennaio. Ma stavolta è davvero dettagliato, nessun frainteso: con un’analisi inoppugnabile il regista svela qual è il minimo comun denominatore delle varie opere italiane candidate all’Oscar (compresa la sua) negli ultimi 25 anni.
Cerca di fare disclaimer, specificando che i registi non si curano prima del fattore “statuetta”, ma alla fine il senso è chiaro. A vincere sono i cliché: quelli che piacciono agli americani. E citando il testo di Turrini, leggiamo a proposito di Must Be The Place, produzione internazionale di Sorrentino, con 6 David di Donatello in dote: “Gli è andato a rompere le balle nel loro territorio e ha pure girato un on the road. Intanto si è fatto conoscere e ha avuto qualche riscontro”. A buon intenditor poche parole (nonostante il disclaimer).
Così, svelando i meccanismi della macchina Hollywoodiana, Salvatores ha concluso, risoluto: “Credo che bisognerebbe provare ad andare avanti”. Il vestito nuovo dell’Imperatore non è sembrato piacere troppo alla nobile platea di naftalina, che è rimasta del tutto inerte se non accennando uno stitico applauso.
– Federica Polidoro
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