La costruzione di una cosmologia – vol. 1. L’identità e il ruolo sociale dell’artista. Gian Maria Tosatti e Jannis Kounellis

Il video dell'incontro che ha chiuso il primo volume de "La costruzione di una cosmologia". Un artista giovane e un maestro, insieme, per ragionare sul concetto di identità nell'arte. Gian Maria Tosatti e Jannis Kounellis, in dialogo

Si incontreranno domani, martedì 7 gennaio, all’American Academy in Rome. Siederanno uno di fronte all’altra, come da copione, e inizieranno un viaggio di pensieri e di parole, a ruota libera, inseguendosi, separandosi, cercando punti di contatto.  Alice Cattaneo e Andrea Mastrovito apriranno così il secondo capitolo del secondo volume di un progetto complesso, di cui stiamo riportando ogni passaggio, in questi mesi. La costruzione di una cosmologia porta avanti con passione e con rigore la sua missione: mappare la produzione artistica italiana degli ultimi anni, e farlo in una chiave che sia già storica e critica, generando dibattito. Il tutto col semplice strumento del dialogo. Parlare, parlarsi, indagare a voce alta nel solco del confronto, tra artisti di generazioni differenti.
Dopo il primo volume, dedicato al ruolo dell’artista nella società attuale, questo nuovo percorso si concentra proprio sulla produzione degli ultimi quindici anni: temi, linguaggi, metodi, suggestioni che sono diventati importanti per gli artisti del presente.
Ne hanno discusso Marinella Senatore e Giuseppe Stampone, e adesso tocca ai due nuovi ospiti continuare l’indagine: altre immagini e riflessioni da condividere col pubblico presente e poi con quello del web, grazie alla documentazione video che Artribune Television diffonde ed archivia, passo dopo passo.
Cattaneo e Mastrovito parleranno della loro maniera di intendere l’urgenza dell’arte, in questa fase storica e nel contesto culturale italiano. Due artisti molto diversi, legati da alcuni tratti fondanti, sotterranei. La fragilità, la precarietà, l’equilibrio come esperienza di rischio e insieme di energia. Condizioni che sono, con assoluta evidenza, condivise da coloro che hanno traghettato la propria maturità da un secolo all’altro, salutando il millennio nuovo: i trentenni e i quarantenni degli anni Dieci, generazione di un precariato lavorativo, sentimentale, esistenziale, storico-politico. E là dove l’arte si sintonizza col presente, tutto questo resta, irrompe, trapela, s’avverte.

Jannis Kounellis, Cavalli,1969

Jannis Kounellis, Cavalli,1969

Noi, nell’attesa dell’incontro di domani, pubblichiamo come sempre i video degli appuntamenti precedenti. Questo, l’ultimo del primo volume, ha visto insieme Gian Maria Tosatti e Jannis Kounellis.
Il macro tema relativo al ruolo dell’artista si declina stavolta attraverso il concetto chiave di “identità”. E la prima domanda lapidaria è quella di Tosatti: “Chi è un artista”? Domanda “necessaria” e “inevitabile”, domanda che pesa, che prende spazio e si allunga nel tempo; domanda che non trova risposte e che per questo chiede di essere rilanciata, di continuo. “Io penso che bisogna domandarsi innanzitutto perché nasce un artista e quando nasce”, ribatte Kounellis. “Io e anche la mia generazione siamo uomini del tardo dopoguerra. Allora, qual è stato il nostro problema? Anche l’idea di uscire dal quadro era qualcosa che serviva a dare, a non avere paura di passare il confine, ad andare verso gli altri. Come? Non si va verso gli altri con un quadro già fatto. È un enorme libertà l’uscita dal quadro e ha anche un grande costo. Oggi si vede il costo, ma non si vede la libertà che abbiamo preso. Che è la libertà di essere dialettici, malgrado tutto. E di riuscire a creare le prospettive di un dialogo che da sempre è mancato”.
La prospettiva da cui parla Kounellis è storica: la Francia, la Germania, l’Ingilterra, l’America, le relazioni culturali tra i massimi fulcri di un mondo che scalava la modernità. E poi gli artisti, attori di un passaggio che corrispose alla grande risalita dopo la grande guerra.  C’erano loro, con le battaglie, le sfide, le fratture, i conflitti, i tentativi di ricostruire a partire da una decostruzione: laddove la disillusione, la memoria del dolore e dell’assenza, si facevano miccia positiva, possibilità di prendere il volo, di spezzare categorie e catene, di staccare l’ombra dal suolo, di germinare pensiero attraverso un dialogo finalmente internazionale. Immaginando di essere liberi, “malgrado tutto”. Da qui l’esigenza di superare l’ovvio e inaugurare una dimensione estetica corrispondente a una data fase storica. Sempre, però, in una chiave ideologica: non fu arte per l’arte, ma arte per la storia.
La rottura non era semplicemente formale, ma era quella di un artista che restava  anche un drammaturgo”, aggiunge. Artisti italiani come scrittori dell’ombra: la chiarezza razionale, il nitore protestante di un Mondrian sono ed erano altro rispetto alle ombre e le profondità di Caravaggio. E così sarebbe sempre stato. L’importante era fare di tutto questo dialettica, consapevolezza, relazione. E quindi, identità.

Gian Maria Tosatti, Tetralogia della polvere, 2012

Gian Maria Tosatti, Tetralogia della polvere, 2012

Il racconto di Kounellis riecheggia, d’un balzo, nelle parole di Gian Maria Tosatti. E il parallelo arriva, inatteso ma intrigante. Erano gli anni del dopoguerra e si provava a essere liberi, mettendo dei cavalli in una galleria, spezzando le consuetudini dei luoghi e delle forme. Ma questa generazione qui, adesso, non è forse essa stessa in mezzo a una guerra civile? E non sta forse, a modo suo, cercando ancora di fare arte nei luoghi della vita, oltre le pareti dei musei? Una volontà di potenza che passa dalla disperazione e dalla necessità di superare il torpore.
La guerra che l’Italia sta vivendo è guerra post-ideologica, di sbando e di macerie, di disorientamento e di depotenziamento, senza fucili e senza nemici a vista. Ma è pur sempre una guerra. Tramutarla in “battaglia”, per un artista, significa farne occasione di ricostruzione, di dialettica, di incontro e di scontro, di scrittura e di visione. Malgrado tutto.
E la sfida, allora, è culturale, sociale, quanto linguistica. “Certe volte guardo all’arte in questo momento e mi rendo conto che c’è come tutto un sistema che ancora non è propriamente pronto per questo. Un sistema che cerca di risolvere i suoi problemi intorno alle strutture che conosciamo e che però ormai sono già vecchie. Sono le strutture che servivano per contenere gli oggetti. Stiamo ancora lavorando per l’arte degli anni Settanta, l’arte degli oggetti: qualcosa che in quegli anni era importante. In quel momento, magari, era importante tornare davanti al quadro, all’oggetto. Però adesso no. Adesso è un altro momento, stiamo su un altro campo. E contemporaneo è fare un percorso che sia a volte progettuale, scassare la cornice, andare in mezzo alla strada e usare l’atto artistico come un evento rivelatore”. Si tratta, per Tosatti, di eventi, epifanie, misteri in cui inciampare,  verità che accadono e ti piombano addosso, senza sapere che sia arte, senza che qualcuno ti abbia avvisato prima. Come un cane che muore sul bordo della via, come uno schiaffo, come un miracolo, come uno spazio che cambia, nei dettagli e nelle pieghe. “La bellezza è questo. E noi siamo artefici e artigiani della bellezza”. Un’esigenza che racconta e descrive il senso del contemporaneo: “essere contemporanei significa non poter scegliere: questo è il momento, questo è il tempo e questo devi fare”.

Gian Maria Tosatti, Spazio #05, 2012

Gian Maria Tosatti, Spazio #05, 2012

Il dualismo tra oggetto ed evento, nella dimensione presagita di battaglia e di ricostruzione, è allora misura di un dibattito realmente, intimamente bruciante. È quello che ci stiamo chiedendo e che ci porta a sperimentare una lettura altra delle cose. Purché sia davvero lettura, genesi, drammaturgia, cosmologia, nuova poiesi. E in questa prospettiva di ardore e di impellenza storica, la parola identità ritorna, a disturbare e ad inchiodare. Lanciando la sfida: essere nuovi, essendo quel che si è. Spezzare la cornice, per appartenersi. Tornare per strada, per sentirsi un’altra volta a casa. Ovvero: partorire un tempo presente, riannodando i fili di una narrazione antica, eppure incompiuta, per definizione.
Ecco perché parlarsi, ecco perché ascoltarsi ed ascoltare. Oltre le recenti solitudini. Ecco perché il senso della relazione – concepita come parola, dialogo, differenza – dischiude il senso della battaglia medesima. Che sarà comunitaria, o non sarà.

Helga Marsala

“La costruzione di una cosmologia – vol. 2”
Per una storia dell’arte italiana degli ultimi 15 anni
Alice Cattaneo – Andrea Mastrovito
7 gennaio 2014 – ore 18.30
American Academy in Rome – via Angelo Masina, 5 – Roma 

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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