La costruzione di una cosmologia – vol. 2. Per una storia dell’arte italiana degli ultimi quindici anni. Marinella Senatore e Giuseppe Stampone
Con questo incontro si inaugurava, lo scorso novembre, il secondo volume del progetto "La costruzione di una cosmologia": dialoghi tra artisti, investigando il proprio tempo e immaginando le linee future dell'arte italiana
Quarto appuntamento in arrivo per il ciclo di appuntamenti teorici dal titolo La costruzione di una cosmologia, curato da un gruppo di artisti con la voglia di indagare lo stato delle cose: il sistema dell’arte, le sue falle e le sue potenzialità, i cambiamenti e le sclerotizzazioni, le linee future e quelle che si stanno disegnando. In cerca di un senso possibile, di una forma incipiente: la sfida è quella di tracciare una geografia del presente, al fine di inaugurare un percorso storiografico radicato in questo principio di millennio. Con una velleità, o piuttosto una speranza: riprendere a immaginare cieli nuovi e radiosi, assumersi la responsabilità di inaugurare una visione, puntare a lasciare un segno e a tessere un racconto coerente, potente.
Questo secondo volume, curato da Giuseppe Stampone, ha per tema l’identificazione di urgenze e suggestioni comuni alla generazione emersa negli ultimi quindici anni. Il prossimo incontro, atteso a Roma negli spazi dell’ex fabbrica occupata del MAAM (Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia), sabato 1 febbraio, vede protagonisti Arcangelo Sassolino e Gian Maria Tosatti. Due figure ascrivibili alla stessa generazione artistica, che provano ad accendere una scintilla, parlandosi: tra i gesti di ieri e gli sguardi di oggi, quale spazio di azione/riflessione si è generato? Quali differenze e quali affinità? In altre parole: come stanno cambiando, gli artisti, oggi?
Un luogo, il MAAM, che ben si presta ad accogliere questo match. Proprio Tosatti inaugurò qui un po’ di tempo fa il suo grande, telescopio artigianale, puntato in direzione della luna, che domina la struttura dal suo punto più alto: la vecchia torre. Ed è così affine alle atmosfere di Sassolino questa architettura piena di memorie meccaniche e industriali, in cui riecheggiano, idealmente, le macchine di ferro e cemento dell’artista, straordinari congegni in cui si combinano lo studio della fisica, la monumentalità scultorea e l’approccio forte con lo spazio, fatto di fratture, cesure, tensioni e scoperchiamenti. Entrambi, Tosatti e Sassolino, interessati ai lavori su grande scala e sedotti dalla bellezza dei contesti, dalle stratificazioni, dalle potenzialità implicite alla materia e allo spazio.
Il video che condividiamo oggi è invece il primo di questa serie in corso. Al centro c’erano, lo scorso 27 novembre, Marinella Senatore e lo stesso Stampone. Ancora due artisti della stessa età pronti a confrontarsi e a chiedersi cosa per loro è stato importante nell’arte italiana degli ultimi quindici anni. Senatore individua imemdiatamente nella “pesante eredità dell’arte povera“, raccolta dagli artisti di media generazione, il fattore determinante. La stessa linea concettuale, di stampo poverista, viene reiterata in un loop più o meno statico, con oscillazioni più o meno significative. Il germe della differenza, in questa ripetizione invincibile, resta l’elemento del “local“: lo sguardo sul reale, sulle comunità, sulle identità locali. Scansando quella paura di non essere “abbastabza internazionali”, che alla fine davvero ci rende prossimi a un provincialismo triste. Verità assoluta. Il coraggio che manca, per Marinella Senatore, è allora quello di eludere le “formule che funzionano“, sulle orme di un’internazionalità preconfezionata, provando a dire “quello che davvero si vuole dire“. La prova più difficile, probabilmente. Come piazzarsi di fronte ad uno specchio.
Corsi e ricorsi, strappi, collisioni, strategie e automatismi che orientano il sistema dell’arte, facendone qui una cosa necessaria, lì una trappola inceppata: quel sistema “cool” oriented, come denuncia Stampone, fatto dai “collezionisti giusti – che sono le vere vittime – i premi giusti, i curatori giusti, le biennali giuste”. E allora, quanta verità c’è in questa giustissima macchina ben oliata, ma spesso – in Italia quantomeno – povera di risultati e zeppa di mistificazioni? “Io, personalmente, faccio arte per me. Per sopravvivere. Perchè mi sento una macchina rotta. Il sistema è bellissimo. Ma ha una vita a sé. E poi c’è l’arte, che è tutta un’altra cosa“.
Helga Marsala
1 febbraio 2014, ore 16
MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia
via Prenestina 913, Roma
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