Rino Stefano Tagliafierro per Stumbleine Feat. Violet Skies. Tuffi elettronici e ombre dream-pop

L’ultimo lavoro di Rino Stefano Tagliafierro, dopo il successo di Beauty, short film che animava dipinti antichi. Un videoclip appena uscito, per un brano di una nuova coppia musicale britannica. Stavolta senza artifici animati

Ci aveva abituati ai suoi video sospesi, bizzarri, realizzati mettendo in movimento immagini statiche, grazie a dei raffinati software di morphning. Il suo Beauty aveva spopolato sul web, divenendo immediatamente con i sorprendenti trucchi che risvegliavano dal sonno antichi dipinti: paesaggi romantici, ritratti ottocenteschi, scene pagane o religiose. Un incantesimo visionario, certamente manierista, ma con cui il giovane Rino Stefano Tagliafierro aveva trovato la chiave giusta. Qualcosa di simile aveva fatto con My Super8, realizzato per la band M+A, videoclip animato, in cui centinaia di fotografie prendevano a muoversi, inscenando un lezioso, inquietante, sinistro quadretto borghese:  due sorelline adolescenti, in una liaison erotico-crudele, scandita da carezze e coltelli.

Rino Stefano Tagliafierro, We're Shadows, 2014

Rino Stefano Tagliafierro, We’re Shadows, 2014

Adesso, Tagliafierro torna con un nuovo lavoro musicale. Un altro videoclip, realizzato per il progetto Stumbleine Feat. Violet Skies: il brano è We’re Shadows e arriva dall’album “Dissolver”, sfornato la scorsa primavera per la Monotreme Records Ltd., dopo il debutto della coppia con l’EP “Chasing Honeybees”. Un esperimento andato a buon fine e nato dall’incontro tra il producer britannico  Stumbleine aka Peter Cooper e la cantautrice Violet Skies. Buon mix, sufficientemente leggero, melodico, accattivante, da conquistare al primo scivolare di note. Dentro ci sono le linee R’NB del cantato, i tocchi soulful, le sferzate shoegaze di chitarra e i beat elettronici di un dream pop morbido, soffuso.

Rino Stefano Tagliafierro, We're Shadows, 2014

Rino Stefano Tagliafierro, We’re Shadows, 2014

Tagliafierro, manco a dirlo, cattura le venature scure del pezzo, agganciandosi all’umbratile titolo e marciando lungo le frequenze più oniriche. Senza artifici animati, stavolta. Il film è girato e montato tradizionalmente, ma la storia è tutt’altro che “tradizionale”: giovani in divisa da collegiale si calano vestiti dentro una piscina, come in un rewind prenatale che li immerge nel liquido amniotico. Movimenti rallentati, spiati da una telecamera subacquea, fra trasparenze di camicie e abbandoni di candide membra. Intanto, tra una nuotata e un inabissamento, fuori dal pelo dell’acqua altre scene infittiscono il mistero: qui i performer si nascondono dentro sai religiosi, coi cappucci calati sui volti, tra file di fiaccole ai bordi della scena. In penombra, a compiere piccoli rituali senza senso. Ed è subito sogno, foschia, incantesimo. Ancora una volta.

Helga Marsala

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

Scopri di più