Al ballo con Charles James, l’architetto-couturier. New York celebra il re degli abiti da sera
Il Met Museum di New York ospita una leggenda dell’alta moda americana. Fino al 10 agosto le sale del rinnovato Costume Institute mettono in scena il teatro di Charles James. Straordinarie creazioni, complesse come architetture…
Non chiamatelo fashion designer. Nel senso che Charles James, nato in Inghilterra nel 1906 e vissuto a New York fino al 1978, data della sua morte, è stato sì uno tra i più geniali couturier del ventesimo secolo, fin dagli anni Cinquanta un’icona assoluta; ma non aveva alcuna formazione tecnica (iniziò aprendo a Chicago un negozio di cappelli, dopo essere stato cacciato dalla Harrow School) e non passava dal disegno per ideare le sue creazioni. Tanto che per i suoi capi preferiva la definizione “shaped by”, alla tradizionale “designd by”. La forma: la sua autentica, sublime ossessione.
Un tipo anomalo e controcorrente, James, dal carattere scorbutico, l’indole perfezionista e la capacità di concepire il mestiere in termini eclettici e assolutamente propri.
Charles James era un architetto, uno scultore, un matematico, un ingegnere dell’abito. Lavorava direttamente sui tessuti e con le silhouette, plasmando la materia tessile come se fosse marmo, come se fossero esercizi di geometria o un gioco di equilibri fisici. Un pensiero costruttivo incarnato nelle forme e nei volumi: si trattava di abbellire il corpo femminile, ma anche di trasformarlo, reinventarlo, glorificarlo.
Quasi unicamente abiti sera, i suoi. Celeberrimi, amatissimi dalle grand dame del tempo – incluse stelle del cinema, dive teatrali, ballerine, nobildonne – studiati e ammirati da illustri colleghi come Dior o Balanciaga.
A trentacinque anni dalla sua scomparsa, ad omaggiarlo ci pensa il Costume Institute del Met Museum di New York, che inaugura così i suoi rinnovati spazi, dopo mesi di chiusura per restauri, col nuovo nome di Anna Wintour Costume Institute. “Charles James: Beyond Fashion“, mostra presentata la scorsa primavera in occasione delle sfilate newyorchesi, è allestita tra le due nuove gallerie Lizzie e Jonathan Tisch, al primo piano del museo.
Un suggestivo allestimento teatrale esalta decine di abiti icona della lunga produzione di James, con tanto di corner hi-tech in cui raffinate animazioni 3D sezionano alcuni modelli, svelandone le complesse strutture. Perché i suoi incantevoli abiti, tutti stecche, crinoline, corpetti e chiffon, erano architetture monumentali nate da studi ingegnosi, pesanti fino a 15 chili. Cosa che, come da manuale del perfetto progettista, non era percepibile all’occhio: comodi, facilmente portabili, accompagnavano con grazia e leggerezza i movimenti, adattandosi al corpo, svaporando, ruotando, sviluppandosi di sbieco, in lunghezza, tra asimmetrie e balze.
Rimasti nella storia del fashion alcuni suoi leitmotiv o modelli chiave: pantaloni wrap-over; guaine avvolgenti; le cosiddette “figure-eight skirts”, gonne con tessuto arricciato tra le gambe a formare un otto; tagli a quadrifoglio; abiti e mantelle con nastri; capi a spirale, a farfalla o a palloncino; code torchon e panneggi. E a chi lo criticava per l’eccessiva attitudine costruttiva, rispondeva: “Niente che sia di valore viene prodotto senza un profondo studio della struttura, ridotta, fase dopo fase, al minimo”. In lui la complessità dell’intellettuale, la perizia dell’artigiano (“Tutti gli artisti devono essere per prima cosa artigiani”), l’eccentricità e il rigore formale dell’artista. Un classico: rivoluzionario, immortale, senza eguali.
Helga Marsala
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