La terra desolata, tra cinema e poesia. Jeremy Irons legge Thomas. S Eliot
Come un videoclip, ma costruito per accompagnare una poesia, anziché una canzone. Questo short film, diretto da David “Joseph” McCannon, interpreta alcuni versi da “La terra desolata” di Eliot. Con la voce di uno straordinario attore britannico e una raffinata soundtrack post-rock
Restituire la bellezza di versi immortali, attraverso l’immagine in movimento. È la sfida dei cosiddetti “cinematic poems”, short film costruiti intorno a un testo poetico, lasciando che la narrazione lirica si sdoppi, tra il piano della parola e quello della visione. Un po’ come dei videoclip musicali, ma che alla canzone sostituiscono la poesia.
A volte i risultati sono deboli o leziosi, altre risultano più efficaci, sostenuti da una buona regia e da un intento delicatamente interpretativo, più che meramente illustrativo. Sono i casi in cui il cinema, con la sua connaturata potenza evocativa, si accorda con le infinite immagini potenziali, affollate sul bordo e all’origine della parola. Un duello tra il visibile e l’invisibile, in cui il terzo elemento determinante è costituito dalla voce umana: il racconto, scaldato dal timbro attoriale, accompagna il flusso filmico, offrendo corpo e fiato alla scrittura.
Un esempio di questo esercizio creativo è nel recente lavoro firmato dal filmmaker e fotografo americano David “Joseph” McCannon. Lo spunto è di quelli che fanno tremare i polsi: “La terra desolata” di Thomas S. Eliot. Primo libro – La sepoltura dei morti – per due estratti dai primissimi versi*. Capolavoro assoluto della letteratura americana modernista, pubblicato nel 1922 dopo una preziosa revisione di Ezra Pound, “The Waste Land” è un poemetto in quattro parti, una sinfonia sull’umanità, germogliata nel cuore di un periodo storico buio, ma attraversata da riferimenti senza tempo: una commossa, complessa, sperimentale riflessione sull’esistenza, la condizione spirituale dell’uomo moderno, le sue radici e il suo destino. All’ombra di solitudini, paure, passioni, peregrinazioni.
Il regista affida a Jeremy Irons, tra i più grandi attori britannici viventi, la lettura dei versi. Mentre la musica è quella dei Mogwai, ottima band post-rock scozzese, e dei God Speed You Black Emperor, gruppo di Montreal, anch’esso attivo in ambito indie, tra prog e post rock. Sonorità decadenti, rarefatte ed intimiste, riscaldate dalla voce straordinaria di Irons, mentre i versi del Poeta attraversano, nella bruma di un racconto crepuscolare, scorci di natura sbocciati tra le lapidi di un cimitero monumentale. La memoria solenne, la parola bruciante e l’occhio meditativo. Nel tempo sospeso in cui i vivi cercano i morti, cavalcando la vertigine e la melanconia.
Helga Marsala
*I. La sepoltura dei morti
Aprile è il più crudele dei mesi, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio, risvegliando
Le radici sopite con la pioggia di primavera.
L’inverno ci mantenne al caldo, ottuse
Con immemore neve la terra, nutrì
Con secchi tuberi una vita misera.
[…]
Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono
Da queste macerie di pietra? Figlio dell’uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole,
E l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
L’arida pietra nessun suono d’acque.
C’è solo ombra sotto questa roccia rossa,
(Venite all’ombra di questa roccia rossa),
E io vi mostrerò qualcosa di diverso
Dall’ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall’ombra
Vostra che a sera incontro a voi si leva;
In una manciata di polvere vi mostrerò la paura.
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati