Le interviste di Blank On Blank. Kurt Cobain, confessioni prima del suicidio
Iniziamo con questa intervista a Kurt Cobain, registrata un anno prima della morte, il ciclo dedicato al progetto Blank On Blank, dell'organizzazione americana Quoted: vecchie conversazioni tra giornalisti e personanaggi celebri, ritrovate, digitalizzate e diffuse sul web, in maniera creativa...
Ventisette episodi, quattro milioni di visite, dieci milioni di minuti guardati, quarantatremila iscritti al canale. Sono questi, ad oggi, i numeri messi insieme su Youtube da Quoted, organizzazione non profit newyorchese, che porta avanti progetti di ricerca, recupero, tutela e rivisitazione di celebri interviste: contenuti giornalistici, spesso inediti, registrati su supporti obsoleti (nastri, cassette, minidisc) e conservati tra gli scaffali di emittenti radio o tv, nei cassetti di cronisti o tra gli archivi di fondazioni.
Che siano interviste note, ma di difficile reperimento, oppure sconosciute, Quoted le trova e le trasforma in contenuti multimediali dalla forte risonanza: testi, animazioni, mp3, video, da collezionare e diffondere in rete.
Gli intervistati? Big della musica, soprattutto, ma anche del cinema. Grandi personaggi che hanno fatto la storia della cultura pop, del gusto, dello stile, dell’estetica contemporanea. Il tutto finisce su podcast, su soundclound, in radio, con la distribuzione di PRX, mentre David Gerlach, produttore esecutivo di Quoted, trasforma questi documenti vintage in deliziosi short video, confezionati insieme all’animatore Patrick Smith e al tecnico audio Amy Drozdowska.
Da qui nasce Blank On Blank, la serie del debutto. Un curioso e intelligente progetto da cui selezioneremo un po’ di episodi, tra quelli già prodotti e i prossimi che verranno. Cominciando col re del grunge, talento maudit, malinconico e contorto, che segnò la grande stagione musicale di Seattle, nei primi anni Novanta.
Kurt Cobain rilasciò un’intervista a Jon Savage il 22 luglio del 1993. Una lunga conversazione registrata su nastro magnetico, pubblicata su Guitar World nel 1997, nel 2013 recuperata e acquisita in parte da Blank On Blank.
I cinque minuti del corto animato restituiscono, coi tratti grafici e asciutti di Smith, l’immagine di Kurt: la classica maglia a righe over size, i capelli biondi in disordine, il sorriso infantile, gli strumenti, la band. Tra stralci di note graffiate, gonfie di spleen. E intanto il nastro scorre: ricordi, confessioni, flash d’infanzia, cercando radici confuse, sul filo di legami affettivi non risolti. Mother, father. Il divorzio. Il trauma. “Mi vergognavo dei miei genitori. Non riuscivo più a guardare in faccia alcuni dei miei compagni di scuola perché desideravo disperatamente avere una famiglia normale”.
E poi la musica, i Nirvana, la folgorazione del punk, il successo ed il suo peso. Cantare il sentimento dell’alienazione. La rabbia corrosiva, all’altezza dello stomaco e a pressare sulla schiena. Come quegli attacchi di gastrite, come la scoliosi aggravata dalla chitarra sempre al collo. Come quella disperazione sottile che non passava mai. Come l’eroina.
Meno di un anno dopo, il 5 aprile del 1994, Kurt Cobain si sarebbe ucciso. Ventisette anni. Un fucile a pompa puntato alla testa, una lettera d’addio, un lutto clamoroso per il mondo della musica. La vita che cambiava per la moglie Courtney Love e per la piccola Frances.
A Jon Savage, che gli chiedeva se non stesse un po’ meglio in quei giorni, aveva risposto: “Yeah. Specialmente da quando mi sono sposato e ho avuto un figlio. Sai in quest’ultimo anno, il mio stato mentale complessivo e il mio stato fisico sono migliorati quasi del cento per cento. Non mi sentivo così ottimista da prima del divorzio dei miei. You know?”. Poi un accenno di risata. Allegra, amara. Sfumando.
Qui si arresta il frammento digitale, ma l’originale pubblicato nel ’96 proseguiva, fra altre riflessioni, spesso dure. Quelle sul sistema musicale, per esempio. Il punk divenuto così elitario, la difficolta di “venire a patti col successo“, la gioia di aver fatto il disco che i Nirvana avevano davvero voluto fare. Difendendo la vera “ragione per cui fare musica“. Niente trappole, niente compromessi. “Sarei felice di tornare a suonare di fronte a un pubblico di venti persone. Se questo mi facesse ancora sentire bene“. Chisura da antidivo inquieto, idealista, affamato di emozioni che non tenevano più, che non tornavano più. E in fondo, come avrebbe scritto su quell’ultima lettera, “meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente“. Per una volta imbracciando un fucile, invece della sua chitarra. Al riparo da ogni trappola, finalmente.
Helga Marsala
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