Olafur Eliasson, Riverbed. Passeggiata lungo il fiume, tra le pareti di un museo

Un museo che si trasforma in un paesaggio. Un pezzo di natura reale, in cui mettersi a passeggiare. È l'ultima grande installazione di Olafur Eliasson, in Danimarca. Il racconto dell'opera in questo video, pubblicato dallo studio dell'artista, che documenta una camminata in soggettiva lungo un fiume, tra il soffitto e le pareti...

Dalla vertiginosa  architettura specchiante del Kunstmuseumdi Wolfsburg all’abbagliante sole artificiale della Tate, passando per la nebbia caleidoscopica del Martin Gropius-Bau, Olafur Eliasson da anni sfrutta il potere percettivo dell’installazione ambientale, incrociando fisica, ottica, studio del paesaggio, un certo lirismo e un pizzico di leggerezza che ammicca all’estetica da lunapark. Con grazia, però. E pienezza di senso.
Eliasson compie incantesimi, senza troppo dissimularne il trucco, puntando a disorientare, a conquistare i sensi dello spettatore, a svelare piccoli grandi miracoli artificiali lungo il percorso in galleria, per la città, dentro una sala museale. Fenomeni paranormali irresistibili. Tra metri cubi d’aria, spicchi di luce, cascate urbane, piogge dal soffitto.

Olafur Eliasson, Riverbed, 2014

Olafur Eliasson, Riverbed, 2014

Stavolta siamo in Danimarca, al Louisiana Museum of Modern Art, a nord di Copenaghen. Che di colpo s’è capovolto in un frammento di natura: sfondato, contaminato dall’enfasi d’acqua e di terra arrivata da un sottosuolo che non c’è. O da un passato sedimentato. L’ala sud del museo, aggiunta nel 1982 sopra un pendio, ampliò l’edificio disegnato nel 1958 da Jørgen Bo e Wilhlem Wohlert, bell’esempio di modernismo danese dalle  forme pure e le armonie luminose, innestate sul paesaggio. Qui Eliasson si aggancia alla storia del sito, declinando  l’antica questione del rapporto tra natura e architettura. Come? Mettendo in scena il paesaggio stesso, tra le bianche pareti minimali, osessivamente asettiche, dello spazio espositivo, negato e insieme enfatizzato. Straniamento massimo.

Olafur Eliasson, Riverbed, 2014

Olafur Eliasson, Riverbed, 2014

Il percorso di Riverbed (2014) si snoda lungo il letto di un fiumiciattolo, che scorre tra i sassi scuri ed il terriccio. L’unica cosa da fare è calpestare l’opera, perdercisi in mezzo, seguirne la direzione lieta, godendosi l’avventura da improvvisati esploratori. Il teatro della seduzione panica, però, è destinato a tradirsi. Dentro la scatola fluviale, tra i colori lunari e l’odore di umido, mancano l’aria, la luce, l’orizzonte. La dialettica tra l’in e l’out funziona ed Eliasson porta  a compimento un’altra storia, un’altra azione di piacere e di disturbo. Passeggiare tra l’acqua e le pietre, o fuggire incontro al lussureggiante giardino, fuori dalle stanze del Louisiana, è un fatto di tempi, di attitudini, di soglie. Finché il “miracolo” non lascia avanzare limiti (e pareti) e il sentiero non si fa ossessione: spazio algido, claustrofobico, soffocato dalla simulazione.

Helga Marsala

www.louisiana.dk

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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