Atsushi Takenochi a Napoli. Coreografia per corpo, suono e abiti-scultura
Il corpo taglia l’aria, con lentezza estrema, scandendo il tempo e lo spazio secondo il ritmo di una liturgia antica. Quasi uno slow-motion, che ha la densità di una gestualità sacra, là dove è proprio il corpo a farsi strumento per un contatto con la dimensione ancestrale della natura: trasmutando, amplificando le emozioni, intercettando energie […]
Il corpo taglia l’aria, con lentezza estrema, scandendo il tempo e lo spazio secondo il ritmo di una liturgia antica. Quasi uno slow-motion, che ha la densità di una gestualità sacra, là dove è proprio il corpo a farsi strumento per un contatto con la dimensione ancestrale della natura: trasmutando, amplificando le emozioni, intercettando energie sotterranee, facendosi luce e oscurità a un tempo stesso, cavalcando la tensione dell’origine. Lo stile Butoh, nato intorno agli anni Sessanta in Giappone come forma sperimentale di teatro-danza, affida a un linguaggio nuovo e potente la ricerca di un sentimento arcaico dell’esistenza, in cui convivono spiritualità, consapevolezza corporea, evocazioni del paesaggio ed esplorazione psichica.
In occasione de Festival Internazionale del Design di Napoli, lo scorso 11 ottobre, l’Accademia di Belle Arti ha ospitato negli spazi del Teatro Antonio Niccolini una performance curata e interpretata da Atsushi Takenochi, fin dagli anni Ottanta intenso sperimentatore del genere Butoh, impegnato in tutto il mondo con spettacoli e workshop.
Vita e Morte e Fiori è una prova di fusione tra l’arte coreutica e la ricerca sui costumi di scena, vere e proprie architetture per il corpo, con cui il danzatore costruisce e sviluppa una partitura gestuale dalla particolare potenza iconica. Abiti come sculture da abitare, ideati e realizzati dalle sapienti mani di Sonia Biacchi, sfruttando materiali inediti: tela da surf, stecche di balena sintetiche, polistirolo, tessuto per vele, fibra di vetro… Il confine tra pelle e tessuto, tra struttura muscolare e struttura dell’abito-oggetto, si assottiglia, si confonde, si apre a una scrittura geometrica ibrida, fatta di linee, piani, volumi, colori, incastrati secondo armonie e gerarchie nuove.
Sul fondo, ad accompagna il rito, il tappeto sonoro di Hiroko Komiya: un’esecuzione live di musica concreta, ottenuta con oggetti, elementi naturali (acqua, conchiglie, foglie) e strumenti a percussione. Tra stille sonore, piogge di petali e avvitamenti circolari, il corpo-suono, corpo-abito, corpo-natura, sorge dal buio, investito da una luce aurorale. Cambiando forma, insieme al paesaggio.
Helga Marsala
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