Festival del Film di Roma – note (critiche) al margine di un’edizione stanca
Dodici giorni di kermesse, alcune buone pellicole, un calo di presenze e un'organizzazione con diverse pecche. Il Festival del Film di Roma è in affanno. E mostra qualche vuoto di troppo
Il primo Festival di Roma con decreto popolare, si è chiuso ieri sera con la vittoria di Trash di Stephen Daldry. Un’edizione, per noi, con molti incontri speciali, da Wim Wenders a Wash Westmoreland, da Marco Pannella fino a Piotta, per non parlare di un’ultima intervista a sorpresa, a brevissimo on line. Per Artribune, dunque, è stata un’annata prolifica dal punto di vista produttivo. Meno per i contenuti offerti e per l’organizzazione generale. E scusandoci con i lettori per questo consuntivo un filo autoreferenziale, portiamo un piccolo (si fa per dire) esempio concreto: la classica battaglia per gli accrediti stampa e l’insuccesso generato da una politica poco lungimirante.
Avevamo noi stessi chiesto un terzo accredito tecnico, per riprendere le interviste in Auditorium (oltre a quelli per il red carpet e la sala montaggio, entrambi ottenuti), ma senza successo. Abbiamo più volte descritto le dinamiche complesse che riguardano il capitolo accrediti, con i festival che si riservano la facoltà indiscutibile di decidere se e quanti accrediti riservare. Di fatto, in questa precisa occasione, la sala per i tecnici photo-tv è rimasta semi deserta dalla metà della manifestazione. Il tutto, in una cornice generale di fiacca: poca gente, calo netto delle presenze, grandi spazi deserti.
Lo zoccolo duro di Artribune, ad ogni modo, non ha mancato un solo giorno di calendario, con un lavoro quotidiano che ha impegnato troupe e redazione. Grazie a tutti quelli che ci hanno seguito e appuntamento al prossimo red carpet.
Federica Polidoro
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