Immigrant Songs, il canto plurale dello straniero. Angelica Mesiti e Malik Nejmi al Maxxi
Mentre si celebrano i 368 morti della tragedia di Lampedusa, che sconvolse il mondo nell'ottobre del 2013, una piccola mostra al Maxxi di Roma affronta il tema dell'immigrazione con due film d'artista. Eccoli entrambi: di uno la versione integrale, dell'altro una sintesi esemplificativa...
“Gli immigrati arricchiscono la nostra cultura e sono una forza fondamentale che trasforma la nostra realtà: superando il desiderio dei valori materiali e il consumismo imposto dal “dinamismo” tecnologico, gettano le fondamenta per una nuova civiltà e aprono le nostre menti a una bellezza sconosciuta”. Non ha esitazioni né mezze misure, il direttore artistico del Maxxi, Hou Hanrou, nell’affrontare il tema spinoso dell’immigrazione. Straniero egli stesso, in una terra divenuta casa temporanea, Hanrou è nato in Cina nel 1963, e dopo aver vissuto tra la Francia e l’America è arrivato in Italia per il prestigioso incarico, cooptato dal Presidente Melandri. Un pensiero dello scambio e dell’integrazione, il suo, nel segno del crossing etnico e culturale. Un pensiero di matrice postmoderna, per certi versi fallito, tra i conflitti delle nuove megalopoli, per certi altri ancora pieno di fascino e di ineluttabilità.
Immigrant Songs, mostra curata al Maxxi da Hanrou insieme a Monia Trombetta, pone questioni attuali e controverse come queste. Proprio nei giorni in cui si celebra il primo anniversario del gigantesco naufragio di Lampedusa: 368 migranti morirono, il 3 ottobre del 2013, ingiottiti dal Mar Mediterraneo. La chiave di lettura, però, è improntata alla bellezza: il volto gioioso dell’immigrazione, oltre la cronaca del dolore e dell’isolamento, oltre la schizofrenia collettiva che articola diffidenza e disorganica accoglienza. Quel che resta è un fiume di persone in transito. In cerca, in fuga, in attesa. Migranti, clandestini, lavoratori. Dispersi e sopravvissuti. Ma soprattutto, cittadini e viaggiatori.
Due film: Citizens Band di Angelica Mesiti (australiana, di origine italiana) e 4160 di Malik Nejmi (francese, di origine marocchina). Musica come resistenza per l’installazione video su quattro canali di Mesiti, in cui quattro immigrati giunti in Australia e in Francia dall’Africa, la Mongolia, l’Algeria, suonano, cantano, fischiettano in luoghi pubblici delle città: una piscina, il vagone di una metro, un taxi, una piazza. L’eco delle radici, la memoria della tradizioni, emergono tra accenni di melodie casuali, nel cuore di metropoli straniere. Esserci, essere, anche dentro e attraverso un motivetto, una canzone, una vibrazione.
4160 – acquisito in collezione dal MAXXI – è invece nato in occasione della residenza dell’artista all’Accademia di Francia a Roma. Nejmi e i suoi parenti hanno viaggiato tra l’Italia e il Marocco, sulle tracce di memorie etniche e familiari, contenute da oggetti, fotografie, parole. Il film è la storia di un viaggio e la ricostruzione di un dialogo tra corpi, oggetti, appartenenze: conversazioni non convenzionali, in forma di danza e performance.
“Ora fareste meglio a fermarvi e a ricostruire tutte le vostre rovine, perché la pace e la fiducia possono trionfare nonostante abbiate perso”. Così cantavano i Led Zeppelin, nella loro celebre Immigrant Song, da cui la mostra prende il titolo, declinandolo – simbolicamente – al plurale. In quel testo, pensato come un canto del popolo vichingo, lo straniero avanzava, rivolgendosi all’Occidente sconfitto. E dall’invasore veniva linfa nuova, tra le macerie di un regno in declino.
Helga Marsala
Immigrant Songs
a cura di Hou Hanru e Monia Trombetta
fino al 19 ottobre 2014
MAXXI | Sala Carlo Scarpa e Sala Gian Ferrari
Via Guido Reni, 4A, Roma
www.fondazionemaxxi.it
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