Ila Bêka al Maxxi. Spazi intimi o urbani, per una pioggia di microfilm

Nell’ambito del grande progetto “Open Museum Open City”, che apre il museo a un’invasione di suoni e immagini in movimento, Ila Bêka presenta al pubblico la sua ricerca filmica. Con un trailer e una selezione di lavori. Eccone alcuni, in esclusiva assoluta per Artribune Television

Il Maxxi come non l’avete visto mai. Un’astronave vuota, invasa dal suono. Un nuovo “Foro Romano” che accoglie partiture dinamiche e differenti, per voce e per mano di oltre quaranta artisti, protagonisti di una temporanea  sound machine architettonica. “Open Museum Open City”, fino al 30 novembre, è la nuova pelle del Maxxi, da un’idea di Hou Hanrou. Qui convivono le installazioni sonore di dieci nomi internazionali, insieme a un nutrito menu di performance, eventi, concerti e incontri con autori.

Living Arhitectures - 25Bis

Living Arhitectures – 25Bis

Tra questi ultimi c’è Ila Bêka, architetto, regista, artista, produttore ed editore italiano, da anni in pianta stabile in Francia. Tanti i suoi film – diretti sotto vari pseudonimi – che hanno scalato importanti festival internazionali, guadagnandosi il plauso della critica. Tante le produzioni, tra cui il famoso ciclo “Living Architectures” realizzato con Louise Lemoine e dedicato alla vita che scorre all’interno di celebri architetture contemporanee, non più raccontate come mausolei sacri, ma riscoperte attraverso le storie di chi le abita, ogni giorno. Proprio in occasione di “Open Museum Open City” il Maxxi presenta in anteprima nazionale 25Bis, uno dei film della serie.

E sono due le giornate al museo con Ila Bêka (22 e 29 novembre), un doppio evento curato da Emilia Giorgi, suddiviso in talk e video screening. Due appuntamenti per scoprire un universo creativo in cui suoni, visioni e spazi percorribili descrivono paesaggi urbani oppure affettivi, grazie a piccoli film caratterizzati da una regia asciutta, da mezzi spesso essenziali e da sintassi ibride, tra approccio documentativo, narrativo o sottilmente poetico.

Natural Histories, per esempio, in cui lo sguardo si muove attraverso piazze e vicoli cittadini, spiando i gesti e i percorsi di anziani signori, curvi e silenziosi tra i passanti, per una prospettiva marginale e ravvicinata della routine metropolitana, fatta di solitudini; oppure I have seen my mother dancing in the clouds, epifania onirica scandita dal rumore del temporale, dal verde acido di luci lontane, da dolci memorie d’infanzia: un’allucinazione che scivola lenta, tra le sinapsi e una parentesi REM.

O ancora Della paura di morire, il sentimento della fine e della titubanza consumato lungo la metafora di un tunnel: un uomo con la valigia in mano, una linea per terra che indica un aldilà minaccioso. La morte in un frase scritta col gessetto. Di qua o di là la stessa scena, la stessa linea. Nessuna via di scampo. E aspettare, a cavalcioni sopra un trolley, nel bianco e nero di un’attesa che ritarda la beffa del destino.

Helga Marsala

www.fondazionemaxxi.it

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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