Tim’s Vermeer. Storia di un inventore che svelò i segreti del maestro fiammingo
E se all’indubbio talento artistico si fosse sommato l’aiuto di tecnologie ottiche? E se anche Vermeer, il genio del Seicento fiammingo, avesse usato per i suoi quadri una rudimentale camera oscura? Un inventore texano ha dimostrato tutto questo. E un film, applauditissimo a Toronto e ora a Firenze, ha raccontato tutta la storia. Eccolo, in versione integrale
Si appena conclusa la settima edizione de “Lo schermo dell’Arte”, evento fiorentino che unisce cinema, arte e architettura, tra pellicole biografiche, documentari, progetti sperimentali e film d’artista.
Tra i titoli di chiusura c’era anche il geniale Tim’s Vermeer. Il film, diretto da Teller, illusionista, mago, scrittore, regista e attore americano, in coppia col produttore Penn Jillette, racconta la storia vera di Tim Jenison, un inventore texano che ha deciso di svelare i segreti di Vermeer sulla scorta delle teorie già esposte da David Hockney nel libro “The Secret Knowledge: Rediscovering the Lost Techniques of the Old Masters”. In questo importante saggio del 2006, Hockney aveva svelato come artisti del calibro di Caravaggio, Velázquez e altri iperrealisti, avessero utilizzato strumenti ottici per dare vita ai loro capolavori, grazie alla tecnica della camera oscura. Tim ha deciso così di portare avanti la ricerca del maestro dimostrando di poter ricreare una delle opere più celebri di Jan Vermeer (“Lezione di musica”, del 1662), non solo con all’aiuto di una camera oscura, ma con l’aggiunta di uno specchio che riflettesse l’immagine proiettata, permettendo al pittore di tenere memoria visiva delle sfumature cromatiche campite dalla luce, altrimenti impossibili da trattenere per la retina umana.
Straordinarie, nel film, la passione, la dedizione e l’intelligenza con Jenison si dedica al suo esperimento. Tim mostra come ottenere una copia esatta dell’originale, condividendo questa sua esperienza con lo stesso Hockney, stupefatto per l’ingegnoso procedimento.
L’impiego di strumenti ottici ha dunque costituito un segreto tramandato negli anni, a cui si deve il potere di un realismo assimilabile alle odierne fotografie. Scoperta che non solo fa luce sul passato, ma che implica domande rilevanti per il futuro. Se i computer sono un po’ le camere oscure dei nostri tempi, occorre tenere conto dell’apporto fornito da queste tecnologie al talento creativo (lo stesso Hockney ha presentato alla Royal Academy di Londra una serie di lavori creati con l’iPad): in che modo i nuovi media sono responsabili della visione di un artista, in senso letterale?
Tim, replicando il famoso dipinto nel suo studio di San Antonio, nell’arco di cinque anni, ha saputo combinare le sue indubitabili capacità di ingegnere informatico insieme alle sue personali capacita espressive: un po’ come nel caso di Vermeer?
Il film, applauditissimo al Toronto Film Festival del 2013, rappresenta un ulteriore step nel percorso di conoscenza della storia dell’arte, a partire da una prospettiva inedita e diversamente consapevole.
Diana Di Nuzzo
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