Bite of the Tail, il morso del serpente. Storia di un’ossessione domestica
Lui, lei, la sorella di lei, il dottore. Menage familiare-ospedaliero, consumando tensioni, dubbi, mezze verità. Un breve film d'animazione, tanto raffinato quanto surreale. Il vero protagonista? Un serpente. Ottima prova della giovane e pluripremiata regista Song E Kim
C’è una vena surrealista, nel breve film di animazione di Song E Kim, un piccolo capolavoro che ha collezionato decine di premi e partecipazioni internazionali: dal Lawrence Kasdan Award for Best Narrative Film (Ann Arbor Film Festival) al Juried Best Animated Shorts (Ashland Independent Film Festival), dal Best Student Film del Bradford Int’l Animation Festival, passando per il Sundance Film Festival, il Chicago International Festival, l’Ojai Film Festival, il Milano Film Festival, il San Francisco International Film Festival e molti altri ancora.
Una storia semplice, fatta di poco o di niente: non una vera trama, nessun evento particolare, nessuna narrazione in senso stretto. Tutto, intelligentemente, risolto nell’intreccio di umori, nevrosi, domande sospese, paure. Mentre un’immagine simbolica si insinua, strisciante, tra i luoghi ed i pensieri, diventando l’improbabile elemento comune, utile a comprendere l’enigmatico menage familiare.
Quattro persone. Un marito, una moglie, la sorella di lei, il dottore di lei. Un disturbo allo stomaco che non trova soluzione, una serie di esami e di consulti ambulatoriali, l’incognita della malattia che cova. Reale? Immaginaria? Chissà. Intanto, il nucleo di tensione che si radica nel corpo della donna, ha il suo corrispettivo nello spazio domestico: liti, discussioni, mezze verità, stati d’ansia. E una sorella, amante delle chiacchiere, che riporta notizie, semina diffidenze, accende nuove preoccupazioni. Anche stavolta: pettegolezzo o realtà? E poi il marito, figura doppia e opaca, che dopo l’ufficio si perde in un campo desolato, trasformandosi in un cacciatore di serpenti. Ma è solo un sogno o follia nuda e cruda?
Ed eccolo, il quinto elemento. Il serpente, presenza simbolica perpetua, è nelle visioni di lei, come un’allucinazione tra il soggiorno, la cucina e un letto d’ospedale; è nella lingua biforcuta dell’altra; ed è nell’identità segreta di lui, impiegato in giacca e cravatta, e poi collezionista di rettili.
Il film, naturalmente, non ha una fine, se non nell’immagine onirica della donna, che all’ennesima visita medica si lascia penetrare le fauci da una sonda-serpente. Tutto ruota, senza soluzione di continuità, intorno al senso dell’inquietudine e del mistero. Inseguire qualcosa – di sé o dei propri cari – che sfugge o che non si conosce; cercare una risposta, separare il vero dal falso, mondare il reale dall’immaginazione, fidarsi e non fidarsi, capirsi oppure no. “Bite of the Tail è iniziato con una domanda “, ha spiegato Song E Kim in un’intervista su Herfilmproject.com. “Il film è il risultato della mia lotta per cercare di rispondere. Dopo una discussione con mia mamma, una giorno, ho pensato ‘ma allora, qual è davvero la risposta giusta?’. Man mano che invecchio, il concetto di “risposta giusta” diventa per me sempre più astratto, qualcosa su cui non ho controllo”.
Ci sono sei anni di lavoro, dietro questo film di soli 9 minuti. Sei anni impiegati facendo altre cento cose – film, spot pubblicitari, videoclip musicali, documentari – e intanto dedicandosi, con passione, a questa sfida. Il risultato? Pregevole. Un tema complesso, restituito con semplicità, secondo un impianto narrativo inedito, lasciando – tra i pochissimi dialoghi – tutta la forza espressiva a un’animazione di altissimo livello tecnico, accompagnata da un sonoro altrettanto ben confezionato. Elegante, intensa, ipnotica, un’opera dalla cifra molto personale, che lascia aperte tutte le domande. Seducendo, come tutto quello che non si riesce davvero a decifrare.
Helga Marsala
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