Intervista ad Anselm Kiefer. L’arte come faccenda spirituale, fra le maglie della storia
L'arte per Anselm Kiefer? Una questione spirituale. Radicata nella storia e proiettata verso la trascendenza. Un'intensa videointervista a uno dei giganti del contemporaneo, registrata presso il Louisiana Museum of Modern Art
In principio fu un rito sacro. Un ragazzino, una cerimonia in una chiesa, un gran trambusto, molte aspettative. Il classico rito di passaggio da cui aspettarsi chissà quale esperienza di confine. E invece no, per il piccolo Anselm Kiefer la prima comunione fu una mezza delusione. Un sentimento grigio rimasto impresso nel cuore di un bambino dalla sensibilità speciale. Colui che sarebbe diventato, semplicemente, uno tra i più grandi artisti del secondo Novecento. Il senso dello stupore che mancò, durante quell’appuntamento con Dio e con gli apparati religiosi, alimentò in qualche modo la tensione di Kiefer verso l’invisibile, verso l’eccezione, verso la magia delle cose segrete.
“C’è stato un momento cruciale, a dire la verità”, racconta l’artista a Tim Marlow, in questa conversazione registrata al Louisiana Museum of Modern Art nel 2010. Un momento esatto in cui, forse, il suo destino d’artista trovò un punto d’origine e una ragione: “È stato quando ho fatto la prima comunione, avevo 9 o 10 anni. presi la cosa molto sul serio e pensai: avrò un’illuminazione o qualcosa del genere, ma non accadde. Ci fu un rituale in chiesa lungo un’ora, ebbi molti regali, reggevo una candela in mano, ma non successe assolutamente niente. Niente di spirituale, voglio dire, ed io ero davvero molto deluso. non posso dire che sia quello il momento in cui ho iniziato a desiderare di essere un artista, ma sicuramente è una delle ragioni per esserlo ora. Quando faccio qualcosa che mi colpisce, che mi sorprende, provo quello che mi è mancato quando avevo 10 anni”.
Da questo breve aneddoto, che apre l’intervista, arriva già tutto il sapore spirituale di cui l’intera produzione di Kiefer è intrisa. Un’opera monumentale, la sua. Oltre le categorie linguistiche e le correnti, densa come un’altissima narrazione letteraria, epica, intima, storica e mistica. Incastrata tra il divino e l’umano. “L’arte quindi è un’occupazione spirituale?”, insiste Marlow. E lui, netto: “Si, è così. Perché mette in connessione cose che altrimenti sarebbero separate. Un genere di connessione che non esiste più oggi: gli scienziati sono estremamente specializzati e i saperi sono separati tra loro. L’arte è l’unico modo di ricostruire un contesto”.
Parole importanti, da cui sorge l’universo potente dei Palazzi Celesti, dei cumuli di rovine contemporanee, delle immense architetture e gli orizzonti aperti, dei campi di girasole e gli aeroplani, i rottami di motori, le navi da guerra, il piombo, la cenere, i libri consunti, il vetro, la sabbia ed il cemento, le infinite scritture. L’essenza tragica del tempo, nel paesaggio iconografico di Kiefer, si costella di simboli e utopie, di memorie e di macerie, di germogli e di costellazioni antiche. In una continua esplorazione dell’esistenza, ricomposta in una forma letteraria. Inseguendone la bellezza, l’orrore ed il mistero.
Helga Marsala
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