Intervista a Vincenzo Trione. Il Codice Italia e la memoria segreta dell’opera

I giochi sono fatti. Quindici artisti per il Padiglione Italia, annunciati a Roma dal curatore, Vincenzo Trione. E fra i dubbi e le critiche, sboccati intorno al suo "Codice Italia", proviamo a capire di più. La parola a lui, con un po' di considerazioni al margine

Presentazione Padiglione Italia, 56° Biennale di Venezia
Artisti:  Alis/Filliol, Andrea Aquilanti, Francesco Barocco, Vanessa Beecroft, Antonio Biasiucci, Giuseppe Caccavale, Paolo Gioli, Jannis Kounellis, Nino Longobardi, Marzia Migliora, Luca Monterastelli, Mimmo Paladino, Claudio Parmeggiani, Nicola Samorì, Aldo Tambellini
Video intervista di Massimo Mattioli

L’assortita squadra di artisti messa insieme da Vincenzo Trione per il suo Padiglione Italia, punta a far emergere – lungo i solchi della memoria, i sentieri battuti dell’avanguardia e la linea dello stile – l’ormai super citato “Codice Italia”. Una maniera di essere artisti contemporanei italiani, sempre e dovunque. Con addosso il peso di una Storia stratificata, capace di indicare la via, anche e soprattutto quando si tratti di rompere con gli schemi della tradizione. I quindici artisti scelti? Figli (reali o presunti) dei pionieri che furono, da Pontormo a Pasolini, perduti oggi nel caos di una tempo contemporaneo in pezzi, da leggere – ancora e di nuovo – con gli occhi di Walter Bemjamin e del suo Angelus Novus. Ma anche con quelli di Aby Warburg e del suo Mnemosyne  o Atlante della Memoria.

Aby Warburg, frammenti da Mnemosyne

Aby Warburg, frammenti da Mnemosyne

Radici, storia, dna, appartenenza. Questa la cornice con cui Trione prova ad affrontare il discorso sull’attualità, non scansando il rischio di banalizzazioni o di polverose imbalsamature, ma lasciando anche intravedere la possibilità di una costruzione critica coerente, calibrata intorno a uno specifico zeitgeist della crisi. Completamente fuori da “nostalgie, anacronismi, ripiegamenti, citazioni”, assicura lui. Fugando subito il dubbio: nessun gusto del passato in quanto tale, anzi. Si tratta di una memoria da “riattivare e rilanciare”, in maniera problematica e inquieta. Ai fini, probabilmente, di uno scongelamento dell’attuale stasi, maniera o formalizzazione stanca del presente. Sullo sfondo c’è una contemporaneità vagamente disorientata, depotenziata, ma che al livello del sottosuolo cova energie esplosive. Non scindibili dalla misura (seppur aperta) dell’identità.
Agli artisti individuati toccherà mostrare spessore e direzione di queste stesse correnti, esibendo il proprio patrimonio culturale in quanto matrice di recenti e futuri terremoti. Cosa che risulta assolutamente azzeccata per alcuni nomi – dal più “giovane” della ciurma, l’ottantenne Aldo Tambellini, a un’altra figura di rottura come quella di Paolo Gioli – un po’ meno in altri casi, a proposito di mainstream e dejà vu.

Paolo Gioli

Paolo Gioli

Tutto da capire, in ogni caso. A fare la differenza saranno gli artisti, ad oggi in ombra rispetto al rigido impianto teorico, efficace solamente nella capacità di farsi tradire e insieme nutrire dalle opere. Retrocedendo, con astuzia.
Le micro “cattedrali” attraverso cui saranno declinati i progetti – a favore di un effetto anti-collettiva – dovrebbero assomigliare a delle piccole personali, in una polifonia di stili e di memorie, che alla fine partorirà – secondo i piani – una fotografia di quello che siamo e che saremo, nell’utile dialettica fra tradizione e innovazione. Il tutto mischiando il piano storico con quello personale, il genus italicum con il bagaglio proprio; ovvero: “i libri letti, le opere viste, i riferimenti letterari, filosofici, cinematografici, musicali, che stanno dietro l’opera l’arte”, tradotti in forme soggettive che rivelino il senso di un’italianità riconoscibile, ma non ortodossa.

Aldo Tambellini

Aldo Tambellini

E dunque, né nazionalismi, né global style. Radiografando l’opera, fino a scovarne il “pensiero segreto”, il nutrimento, la radice collettiva e singolare. L’effetto stucchevole da “diario intimo” è dietro l’angolo; così come quello di una dispersione del concetto, tra anime così diverse e lontane.
Giudizio sospeso, però, nell’attesa che sia l’arte a sorprendere e svelare. O magari a ripetere, senza guizzi, il già visto ed il già detto. La differenza, che “Codice Italia” prova a perseguire, è tutta qui: avere memoria, oppure usarla; ed usandola violarla, puntualmente. Fino a una genesi nuova.

Helga Marsala


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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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