Yung Ho Chang al Pecci di Prato. Vita e opere di un archistar cinese, tra eclettismo e globalizzazione
Garbato, appassionato, con quell'umiltà che è solo dei grandi, l'architetto cinese Yung Ho Chang si raccnta, al Museo Pecci. Riflessioni sul concetto di futuro, ma anche sul futuro dell'architettura e delle arti, rovistando tra ricordi di una sfavillante carriera
Una stella dell’architettura cinese, con un importante curriculum internazionale, in conversazione con il critico e curatore Marco Brizzi, per il ciclo “Changes/Cambiamenti” promosso dal Museo Pecci di Prato. Yung Ho Chang, che ha fondato nel 1993 l’Atelier Feichang Jianzhu (FCJZ), primo studio professionale di architettura non governativa cinese, negli ultimi vent’anni ha preso ispirazione dai modelli e le icone dell’architettura occidentale, rielaborandoli in una chiave attuale, tecnologica e global: intrigato dal fenomeno della “globalizzazione”, Yung Ho Chang prova a sondare le modalità e le tipologie di scambio culturale che questa nuova condizione umana promuove, tra rischi e opportunità.
L’incontro si concentra sul “delicato equilibrio tra tradizione e innovazione nell’architettura contemporanea”. E quindi rapida riqualificazione – spesso a basso costo – di vaste aree urbane, tempi ed economie dell’iper-sviluppo esploso nei paesi emergenti, rapporto tra innovazione e conservazione, necessità di tutelare il passato e insieme di spingere verso il futuro; costruendo, progettando, migliorando performance, servizi, rituali collettivi, ma anche semplicemente adeguandosi ai mutamenti di stile e di linguaggio.
E si inizia proprio dal concetto di “futuro”, citando Ray Kurzweil – inventore, informatico e saggista statunitense – e la sua idea di futuro esponenziale: il tasso di innovazione cresce, con un indice costantemente in salita, secondo un iter omogeneo che ha a che fare col processo evoluzionistico della tecnologia. E se l’integrazione fra uomo e dispositivi tecnologici è un orizzonte necessario, il futuro – potente, invisibile, controverso – è figlio di un’accelerazione progressiva e non lineare? Probabilmente sì. Ma per l’architetto cinese – che molto deve agli insegnamenti di Rodney Place, artista, architetto e regista multimediale – la dimensione digitale corre il rischio di trasformarsi in “maniera”, in fissità ingenua.
E allora, sul filo di opposti immaginari cinematografici, sarà il nostro un futuro luminoso e plastico, alla Stanley Kubrick, o un futuro alla “Blade Runner”, con molti latri oscuri e minacce incalzanti? Yung Ho Chang, pessimista come abitante del Pianeta, tira fuori un approccio ottimista quando si mette a lavoro: l’architettura come strumento di reinvenzione positiva, di proposta, di visione. E il gioco tra immaginazione e conoscenza resta la chiave principale. Sfuggendo alle categorie granitiche e conservando la capacità di muoversi attraverso culture differenti in maniera libera, aperta, dinamica.
Tra amore per l’arte e passione per il cinema, arrivando all’interesse per il design ed il teatro, l’eclettico Yung Ho Chang – che ha anche curato mostre, realizzato opere di video arte e scenografie – racconta il suo viaggio nell’architettura, fin dai tempi della formazione, tra sconfinamenti, ragionamenti, esperimenti.
Helga Marsala
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