Loredana Longo come Maria Occhipinti. Razzismo, immigrazione e nuovi fascismi
Memorie di un'epoca buia, ricordando un'eroina antifascista. Nuova performance di Loredana Longo a Ragusa: riflessioni sull'immigrazione, in un momento storico segnato da rigurgiti razzisti, partendo dal gesto dell'anarchica Maria Occhipinti
Scrittrice, intellettuale, anarchica e ribelle. Maria Occhipinti intitolò al sua esistenza alle ragioni della lotta civile e politica, alla condizione dei lavoratori sfruttati dal sistema, all’urgenza di libertà e alla pratica del pensiero come luogo di salvezza. A soli 23 anni compì il suo gesto epico. Era il 4 gennaio del 1945, sul finire della guerra. I nazifascisti continuavano la loro opera di rastrellamento e deportazione, nel cuore di un’Italia in pezzi. Quel giorno, Maria, incinta di cinque mesi, vide un gruppo di concittadini caricati sul camion dall’esercito. E reagì: si stese sul suolo per bloccare l’automezzo, permettendo ai compagni di fuggire. Quel gesto folle funzionò come un detonatore; scoppiò la rivolta, sedata solo dopo quattro giorni. Maria partorì in prigione.
Da questa storia esemplare è partita Loredana Longo per la sua ultima performance, presentata lo scorso 11 luglio proprio a Ragusa nell’ambito del progetto “5 piazze 5 sensi”, curatao da Chiara Canali con l’organizzazione di Canecapovolto, in occasione del Festival “I Art”. In quello stesso luogo, Piazza Libertà, l’artista attualizza l’azione radicale di Maria Occhipinti, prendendone a prestito liturgia e spinta emotiva. Stavolta a stendersi sotto a un tir sono sei donne di colore, in fuga dalla vicina Africa: testimoni di quel popolo di profughi, bersaglio di un’Italia riscopertasi razzista e di un’Europa ancora indifferente. Nonostante le migliaia di cadaveri sepolti nel Mar Mediterraneo.
I corpi distesi sull’asfalto diventano il simbolo della protesta: su quei camion viaggiano prodotti agricoli che gli stessi immigrati, in condizioni di schiavitù, contribuiscono a produrre. Il vero tema, dunque, è quello relativo a chi accoglie, non a chi arriva: da Mafia Capitale agli scandali del Cara di Mineo, passando per la piaga del caporalato nelle campagne del centro-sud, il fenomeno dell’immigrazione rivela quel mix di pregiudizio, corruzione e prevaricazione, che nel colonialismo e nelle leggi razziali d’epoca fascista trova una matrice diretta.
Lì, in piazza, da quella Torre Littoria che un tempo riportava la scritta “Fascismo ibleo, tu primo a sorgere nella generosa terra di Sicilia”, Longo srotola un collage di stracci come un’unica bandiera della miseria e della disperazione; poi si appropria di quella vecchia frase e ne cancella l’incipit, operando uno slittamento. Resta un verso improvvisamente lirico, liberato da memorie controverse e proiettato sul camion: parole d’accoglienza, per un’isola che – esposta alle correnti e allo straniero – si rinnova figlia di un pensiero sincretico e di una generosità necessaria.
Helga Marsala
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