Il dramma dei rifugiati nell’Europa delle frontiere. Una video animazione targata HIAS
L'Ungheria di Orbán in queste ore respinge gli esuli siriani al confine. L'Europa in tilt. Un dramma senza fine, che dall'Africa alla Siria sta mettendo a dura prova il Vecchio Continente. In un piccolo film animato tutto il dramma dei rifugiati, in cerca di una terra e di un futuro migliore...
Mentre l’Europa è in tilt, travolta da un flusso migratorio crescente, confusa e quasi arresa nella sua incapacità di fornire una risposta che sia efficace, concreta, umana e civile, c’è chi sceglie la via più infame: resistere, respingere, odiare.
Da un lato l’Africa, dall’altro la Siria. Qua il Mar Mediterraneo, la processione tragica dei barconi, chi accoglie e chi spara; là il nuovo inferno dell’ISIS, i campi profughi, le macerie e le frontiere violate ad ogni costo. E intanto sorgono barriere robuste – simboliche o reali – nel mezzo di moderni Stati europei, a segnare confini caldi come ferite suturate col cinismo. L’Ungheria di Orbán si chiude a riccio e rifiuta gli esuli siriani: al confine con la Serbia è guerriglia, Budapest edifica il muro della vergogna contro l’invasione straniera, contro il flusso di uomini, donne, anziani e bambini in fuga dall’orrore. Nessuno li vuole, nessuno li prende, qualcuno li rigetta come scorie infette.
Le associazioni umanitarie proseguono intanto nella loro quotidiana missione di solidarietà, fra cultura dei diritti umani ed etica dell’accoglienza. HIAS (Hebrew Immigrant Aid Society), per esempio, è la più antica organizzazione ebraico-statunitense che opera a livello globale sul fronte dell’immigrazione e in soccorso dei richiedenti asilo.
Sono loro ad aver commissionato questo splendido short film animato, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato. Diretto e disegnato da Moth Collective, scritto da Paul Wolfe, prodotto da Sovev Media, con le musiche di Marian Mentrup, il video consegna a una sintesi grafica raffinata e a un incastro rigoroso di bianchi, rossi, blu e neri, tutta la tragedia dell’essere sudditi, perseguitati politici, schiavi, vittime, fuggiaschi, cittadini senza più cittadinanza, né dignità. Siria, Iraq, Burundi, Pakistan, Sudan, Somalia, Congo, Myanmar… Tanti, troppi i luoghi del mondo in cui avere un’opinione, un desiderio, una volontà, equivale a morire; in cui la fame, il lutto, la tortura, sono l’unico orizzonte che c’è. Scena dopo scena, figurine di carta pesanti come macigni raccontano la lunga saga del dolore e della fuga, tra villaggi in fiamme e deserti inospitali, muovendosi verso l’unica meta possibile: quella della libertà.
E in questo tempo di migrazioni corpose, di disperazioni progressive e di razzismi emersi, è forse lo stesso concetto di transito, di identità e di nazione, che l’Europa dovrebbe ripensare, in una rinnovata chiave plastica e coraggiosa. Rivedere i trattati, senz’altro. Facilitare le pratiche di identificazione e le fasi di spostamento. Ma anche, forse, cominciare a non avere paura: in un mondo globalizzato aprire le frontiere – coi dovuti controlli e una ferrea organizzazione – significa lasciare che innanzitutto le persone, non soltanto le merci, siano libere di circolare fra le terre a cui scelgono di appartenere.
Helga Marsala
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