L’uso del colore al cinema: l’esempio di Brooklyn
Anche la pellicola può essere usata come una tela. Il regista John Crowley lavora sul colore come un pittore e in “Brooklyn” i toni cambiano con l’evoluzione psicologica della protagonista: qui vi spieghiamo come.
Stati Uniti, seconda meta degli Anni ’50: Saoirse Ronan interpreta un’immigrata irlandese. Il film è Brooklyn di John Crowley. Non è un caso se l’attrice è stata candidata all’Oscar come protagonista. La parte sembra esserle stata cucita su misura: nata nel Bronx da genitori irlandesi, ha passato l’infanzia divisa tra i due paesi e per il ruolo si è sentita investita di una grossa responsabilità nei confronti dei conterranei. Il coinvolgimento ha reso giustizia alla sua interpretazione, per la quale ha potuto approfittare di un accento originale. Il regista, da parte sua, ha contribuito a creare l’atmosfera giusta, senza complicare i meccanismi narrativi, usando uno stratagemma visivo molto efficace. Il film è stato tripartito secondo tre movimenti.
L’USO DEL COLORE NEL FILM
La prima parte è quella in cui Eilis, la protagonista, si trova in Irlanda: le inquadrature sono strette, vagamente claustrofobiche, e i toni danno sul verde. Lo schema dei colori è stato creato con riferimento alla fotografia dell’epoca. La seconda sezione inizia quando la protagonista parte per Brooklyn, allora i piani si allargano, si dà respiro al frame e i colori diventano più giocosi: un accenno di come nel 1952 l’America si apprestava a fare spazio alla cultura Pop. Il terzo movimento è quello in cui la giovane torna in Irlanda: a questo punto la pellicola diventa più luminosa, glamour e vivace rispetto all’inizio. Crowley mostra l’evoluzione dei sentimenti e delle fasi psicologiche di Eilis/Saoirse fino alla qualità sognante dell’ultimo atto: vedere per credere, il film sarà nelle sale dal 17 marzo.
– Federica Polidoro
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