Quando Keith Haring riempiva la metropolitana di New York coi graffiti di gesso. E la polizia lo arrestava.
Adesso la lattina di spray la fa da padrone, ma a Keith Haring bastava anche un gessetto per improvvisare un disegno su una parete pubblica.
Erano i primi anni Ottanta quando un giovane artista sconosciuto riempiva con disegni di gesso le pareti della metropolitana di New York sottoterra e le mura dei palazzi in superficie. Li faceva al volo, di nascosto alle guardie o sotto gli occhi dei passanti per poi scivolare velocemente via e confondersi tra la folla. Quei motivi erano semplici ma davvero personali e di lì a poco sarebbero diventati un capitolo di storia dell’arte. Capitava poi che qualche volta il giovane venisse pizzicato sul fatto e portato in commissariato per alcune ore.
Keith Haring fu spesso in Italia: a Bologna, invitato da Francesca Alinovi, per la mostra Arte di Frontiera, a Milano, ospite di Elio Fiorucci, per un happening di 24 ore nel suo negozio e il suo ultimo lavoro fu sulla facciata laterale del convento di Sant’Antonio Abate a Pisa.
Senza quei murales, oggi assegni circolari a vista, adesso non ci staremmo ponendo tutte le domande sul significato, la natura e la funzione della Street Art. Nel 1982 una televisione americana raccontava per la prima volta la sua storia, da povero graffitaro ad artista quotato. E per raccontarla metteva in scena un falso arresto. Qui le immagini d’archivio.
– Federica Polidoro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati