Il settimo Teatro delle Esposizioni. Roma, i borsisti di Villa Medici in mostra
Settimo rendez-vous, per Villa Medici, dedicato ai gruppi di borsisti che ogni anno vivono e lavorano tra i suoi appartamenti. Un’occasione di riflessione e di condivisione col pubblico, che cade stavolta nel 350° anniversario dalla nascita dell’importante Istituzione francese. In un video le immagini della mostra, con le interviste ai curatori Lorenzo Micheli Gigotti e Valerio Mannucci, di NERO…
VILLA MEDICI, 350 ANNI DI RESIDENZE
Da quando Luigi XIV, nel 1666, inaugurò a Roma L’Accademia di Francia, l’originaria missione di accoglienza e sostegno ad artisti e ricercatori, non si è mai interrotta. Un fiume di eccellenze, che, a partire dal 1803, hanno trovato una definitiva casa tra le mura sontuose e l’aristocratico parco di Villa Medici, luogo in cui fermarsi, produrre, intessere relazioni tra loro e con la città. Da qui sono passati personaggi del calibro di Berlioz, Carpeaux, Debussy, Garnier, Ingres (che ne diventò poi direttore), e negli ultimi decenni gente come François Rouan, Henri Loyrette, Élisabeth Ballet, Ange Leccia, Yan-Pei Ming, Valérie Mréjen, Bruno Mantovani. I “pensionnaire” – scelti da una commissione internazionale, dopo regolare application – restano per dodici mesi nella Capitale. E vivono qui, in cima a Trinità dei Monti, nel cuore della Roma bene, turistica e monumentale. A loro vanno un appartamento, un atelier, una borsa e un’indennità di residenza. Piccole comunità temporanee, che costruiscono legami, progetti, pagine biografiche, esperimenti di linguaggio e visioni nuove. Da 350 anni esatti, senza soluzione di continuità.
I PENSIONNAIRE IN MOSTRA
Dal 2009 l’Accademia di Francia rende omaggio ai suoi borsisti con una mostra estiva. Per il “Teatro delle Esposizioni #7” è la rivista/casa editrice NERO ad aver curato concept e allestimento. E non poteva essere che il format del “libro” a fare da spunto ideale intorno a cui costruire il display, cercando una sintesi tra coerenza espositiva e molteplicità di campi, stili, linguaggi ed intenzioni.
Tra i quattordici autori in mostra ci sono registi, filosofi, scrittori, artisti visivi, designer, musicisti; e il loro lavoro, prodotto nel corso dell’anno, è divenuto una trama visiva, sonora e verbale, distribuita attraverso lo spazio. Quasi si trattasse di una narrazione. Macro didascalie come testi a parete; fogli scritti in word e corretti a penna, poi incorniciati e appesi; miriadi di appunti fotografici e decine di leggii apparecchiati con ritagli e citazioni; opere d’arte e design, srotolati lungo le scale, le nicchie, la terrazza, i sotterranei. E tutto si legge, si attraversa, si spulcia tra le parole sparse e le figure emerse, tra le forme accordate con l’edificio e le testimonianze di esperienze vissute insieme.
FRAMMENTI DA UN DISCORSO ESPOSITIVO
Efficace il doppio livello costruttivo che segue la scalinata del salone principale, in uno schema di linee sghembe, ritmi progressivi e piani intersecati, concepiti a specchio dal celebre duo di street artist Lek & Sowat; intenso il vuoto della stanza abitata dai suoni spazializzati e ipnotici di Sébastien Roux: quattro casse agli angoli e una traduzione sonora dei dipinti murali di Sol LeWitt. Quando una partitura segue le logiche armoniche della pittura, a sua volta connessa all’architettura, nell’ accordo di sequenze regolari, geometrie razionali, campiture di luce meridiana. Multimedialità e vocativa, tra suoni distorti e visioni notturne, per Jackson, che trasforma una piccola sala in un dispositivo onirico, intitolato al sentimento del “terrore”: l’immagine proiettata si sfalda tra nuvole di fumo e spire avvolgenti di colore. Terribile è smarrirsi, nel flusso indistinto delle cose percepite, tra seduzione dell’astratto e timore del vuoto.
Un certo spirito dada, ludico-visionario, per Fabrice Denys aka Fantazio, col suo background d’artista di strada. Contrabbasso, voce, una lettura come una piéce di teatro, una piéce come un canto e un testo che è preghiera-lettera-invocazione-poema-canzone, messo in bocca al Papa e dedicato a Roma, all’Occidente, ai vizi, le virtù, i destini globalizzati, tragici, farseschi dell’umanità intera.
Straniata in mezzo al bosco e poi incastonata sulla candida facciata, è la sauna nomade del designer franco-finlandese Johan Brunel. Minimale, linda, perfettamente funzionante. Un prototipo che qui celebra l’incastro ideale tra le antiche terme romane e la nota tradizione sautistica del Nord Europa, facendosi rifugio, memoria storica e spazio sociale.
È infine una caverna platonica l’antica Cisterna della Villa, immersa nel buio e rimodulata dalle proiezioni di Anne-Violaine Houcke, storica del cinema, che a Roma ha condotto un’indagine sulla fotografa e regista Cecilia Mangini: scene del film “La Canta delle marane” (1961), dedicato ai ragazzi delle borgate di Roma, si intrecciano con frammenti video, testi, letture critiche, recuperati dalla produzione dell’autrice italiana. E c’è una frase – illuminante e luminosa, sospesa nell’oscurità – che restituisce la natura di questa operazione di scavo ed interpretazione critica, e che forse racconta qualcosa della Villa stessa, col suo intreccio virtuoso tra contemporaneità e storia: “La via di accesso al presente ha necessariamente la forma di un’archeologia“.
Helga Marsala
Roma // fino al 18 settembre 2016
Teatro delle Esposizioni #7
a cura di NERO
VILLA MEDICI – ACCADEMIA DI FRANCIA
Viale Della Trinità Dei Monti 1
+39 0667611
[email protected]
http://www.villamedici.it/
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/54955/teatro-delle-esposizioni-7/
Video: Alessio Lavacchi
Coordinamento e interviste: Helga Marsala
Produzione: Artribune Television per Villa Medici, Roma
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