Confessioni d’autore. Montanelli e Guttuso: dialoghi sulla pittura tra un liberale e un comunista

Cose che accadevano una volta. Un gigante del giornalismo, nelle vesti di profano dell’arte contemporanea, va a trovare un gigante della pittura, per chiedergli qualche dritta sul senso del suo lavoro. Montanelli in studio da Guttuso, per un breve documentario “semiserio”.

UNO STUDIO VISIT D’EPOCA
Due pezzi da novanta, protagonisti di un piccolo documentario imbastito come una pièce televisiva. Semplice il canovaccio, ironico il timbro, affascinante il soggetto: un giornalista monumentale in dialogo con un grande pittore del secolo scorso. Da un lato un liberale, tendenzialmente conservatore ma intimamente dissidente, mai allineato al pensiero comune, mai sceso in politica e devoto al mestiere della scrittura; dall’altro un comunista, artista engagé e partigiano, militante nel partito, nelle istituzioni (fu due volte senatore) ma soprattutto sulla tela. Indro Montanelli e Renato Guttuso insieme, per discutere di pittura. Un documento “semiserio”, prodotto dalla Rai nel 1959 per il programma Incontri, che ha tutta la grazia e la piacevolezza, la semplicità e l’intelligenza, dei migliori approfondimenti culturali d’antan.

Azzeccata l’apertura sarcastica, dedicata agli sproloqui e alle verbosità intellettualistiche di certa critica militante: Montanelli, ai tempi firma di punta del Corriere della Sera, ascolta davanti alla tv le parole di fumo di alcuni critici, che illustrano il pensiero di Guttuso sfoderando concetti tortuosi, termini astrusi e prolissità varie. Dunque, per cercare di capirci qualcosa – da non addetto ai lavori – decide di recarsi direttamente nello studio del pittore e di chiedergli lumi sul senso del suo lavoro. Uno studio visit annunciato e raccontato in forma di fiction per il piccolo schermo.
Ed è qui che la verità dello sguardo e del gesto, alla base del rapporto tra opera e artista, spazza via ogni residuo di critichese, ogni forzatura teorica, ogni roboante retorica da glossario filosofico. Basta guardare il quadro, suggerisce Guttuso. Vedere quel che c’è in superficie e così intercettare anche ciò che sta dietro, intorno, prima e dopo. O che potrebbe starci. Il racconto possibile liberato da un’immagine.

Renato Guttuso

Renato Guttuso

L’ISPIRAZIONE NON ESISTE
Ci sono sempre due elementi nel lavoro di un pittore”, spiega Guttuso, maestro di quel realismo socialista, che in tempi di forte radicamento dell’astrazione lo vedeva scegliere coraggiosamente la via della figura, della narrazione, dei contenuti politici. La via della carne, della presenza, della cronaca e insieme di quella voce popolare che è spirito del tempo e della resistenza. “C’è l’elemento che viene chiamato l’ispirazione”, continua, “sulla quale si suole fare sempre molta retorica e dei discorsi inutili, ma in realtà l’ispirazione è il nostro modo di essere, continuamente, anche quando non dipingiamo, il nostro modo di vedere la realtà, di amare il mondo, di entrare in contatto con gli altri uomini. Di avere un rapporto costante con il mondo, e con gli occhi aperti, cioè da pittore”.
E quel rapporto con il mondo, per l’artista bagherese, non poteva che profumare di terra, di polvere, di istanze sociali e di movimenti sotterranei, tra il paesaggio, le cose comuni, i volti e le vicende minute o simboliche della storia. Anni prima, nel dicembre del 1949, in un articolo su Vie Nuove, aveva scritto: “Sin dai primi tempi il sentirmi comunista era confuso in me con la ragione stessa dell’essere un pittore. Così è ancora oggi e credo sarà per sempre, perché credo all’arte come a uno degli strumenti di trasformazione di questa società assurda e ingiusta”.

Renato Guttuso, Contadini al lavoro, 1951

Renato Guttuso, Contadini al lavoro, 1951

LA MATERIA E LA FIGURA
Smitizzata così ogni parvenza mistico-romantica intorno alla faccenda dell’ispirazione, che non è dunque un fatto d’illuminazione improvvisa, quanto un esercizio quotidiano dello sguardo, Guttuso passa direttamente alla parte pratica, tra misture di colore, impasti, procedimenti tecnici, preparazione della tela: roba superflua? Nient’affatto. L’essenza della pittura comincia da qua, dalla ruvida, prosaica, necessaria dimensione della materia.
Poi c’è una parte che è quella professionale”, aggiunge, “il nostro mestiere, a cui io tengo molto. Un pittore deve saper fare il suo mestiere, come un ingegnere, come un medico, come chiunque altro. Grandissima parte della pittura oggi è non figurativa. E allora la materia pittorica, la qualità della pittura ha assunto un’importanza particolare e si tende a darle un valore poetico in sé. Ma non è questa la cosa che a me interessa. Io penso che la materia di un quadro è bella se l’espressione è completa: non credo in un valore poetico in sé della materia”.
Artista lavorartore, alchimista, narratore e combattente, con questo attaccamento forte alla fisicità della pittura, alla sua dimensione umile e concreta, fatta d’impasti e di superfici, di potenza tattile e di sperimentazione chimica. Evitando comunque di approdare – come del resto accadeva in quegli anni – a una pittura intellettualizzata, astratta dal reale, tramutata in coagulo lirico o concettuale. La forma, il racconto, il messaggio umano e politico, restano per il pittore siciliano la chiave di tutto: il senso non può che passare da là, lasciando che la storia s’incarni, autenticamente, tra superficie e materia.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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