Disagio psichico e linguaggi dell’arte. Un workshop con Gea Casolaro
Spunti di riflessione sulla malattia mentale e sull’arte come strumento al servizio della terapia. In un breve video report l’artista Gea Casolaro racconta il wokshop condotto con un gruppo di pazienti del Centro di Salute Mentale di Via di Monte Tomatico e alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma.
Uscire da sé, raggiungere l’altro. Scambiarsi occhi, segni, immagini, forme; sostituire maschere e ribaltare codici. Il gioco è quello antico e complesso della rappresentazione e dell’autorappresentazione. E dunque la pratica del ritratto e dell’autoritratto. Ci hanno lavorato, fianco a fianco, un gruppo di studenti del Corso specialistico di II livello in Arte per la Terapia dell’Accademia di Belle Arti di Roma e alcuni frequentatori del Centro di Salute Mentale di Via di Monte Tomatico, ASL ROMA 1. A Guidarli, durante il workshop dal titolo Io visto da te, io visto da me; tu visto da te, tu visto da me, c’era Gea Casolaro (Roma, 1965), artista italiana che ha condotto negli anni un lavoro rigoroso, pieno di delicatezza e di intelligenza, oltre le tendenze e i riflettori, sempre nel solco di temi antropologici, storici, sociali, tra peregrinazioni geografiche, concettuali e narrative. Con lei coordinava il progetto la Professoressa Nicoletta Agostini, psicologa e storica dell’arte, referente del Corso, con la supervisione di Maria Jacomini, docente di Arteterapia.
L’IO E L’ALTRO. RITRATTI IRREGOLARI
Suddivisi in coppie o in gruppi, studenti, pazienti e operatori hanno interagito tra loro per realizzare ritratti e autoritratti non convenzionali, con risultati a volte sorprendenti: l’immagine di sé filtrata da occhi esterni, rivelata e riplasmata da impressioni non proprie, da un lato completa il soggetto tramutandolo anche in oggetto della percezione altrui, dall’altro lo espande, lo problematizza, lo frammenta in mille storie possibili, tutte vere, tutte potenziali. L’io come moltitudine, apertura e processo in atto. “Rappresentare sé stessi e l’altro”, ha spiegato Casolaro, “ha permesso di mettere a confronto l’immagine che abbiamo di noi stessi con l’immagine che l’altro ha di noi, per verificare quanto la percezione interiore e quella di una visione esterna, possano o meno coincidere”.
I lavori prodotti sono esposti, fino al prossimo 9 luglio, nella storica Aula Colleoni dell’Accademia di Belle Arti di Roma, là dove è conservato il calco monumentale della statua equestre di Bartolomeo Colleoni, realizzata dal Verrocchio nel 1480 per Campo San Giovanni e Paolo, a Venezia. Un ritratto anche quello: poderoso, classico, austero, celebrativo. Così come effimeri, lievi, intimi e irregolari sono quegli realizzati durante il laboratorio. Un archivio di collage, disegni, dipinti, elaborazioni grafiche, in cui si affastellano simboli e figure, voli pindarici e associazioni mentali, risonanze e nuove significazioni. Così, all’idea di una ritrattistica tradizionale si è preferita un’accezione assai più libera: rappresentarsi “sotto un’altra forma”, ha spiegato Gea Casolaro, era una sorta di regola non scritta. E allora ciascuno sul foglio diventata un luogo, una stagione, un’opera d’arte, una memoria, un animale, una figura fantastica, una condizione atmosferica, un nome, una cosa, un pensiero. Fisionomie da tradire, somiglianze da inventare.
UNA CONDIZIONE UMANA
Con una certezza sola: “da vicino nessuno è normale”. Una frase di Franco Basaglia che Casolaro cita, ribadendo quell’essere speciali che accomuna tutti e che tutti consegna alla meravigliosa differenza di un sentire laterale. Tutti esposti al precipizio, alla rottura, alla sconnessione di corpi senz’organi e di occhi plurali. La follia è una condizione umana, diceva ancora Basaglia. Come umano è percepirsi molteplici, fuori posto, fuori fuoco, in disequilibrio, in conflitto, in attesa, al di là. Qualcuno con una sofferenza maggiore, qualcun altro governando il limite, tanti dalla parte della “norma”, che norma non è mai per davvero.
Il lavoro prezioso condotto dagli studenti del corso di Arte per la Terapia, con e per i pazienti, va in questa direzione: essere accanto, nel tempo dell’ascolto e del rispetto. Essere fuori dalla gabbia delle certezze sociali, dello stigma, dei ruoli, della cura come repressione istituzionale e castrazione. Nel difficile percorso della terapia psichiatrica e farmacologica, il contributo della creatività ha in tal senso un suo peso specifico, che lo stesso Basaglia comprese ed esplorò, da vero pioniere. Il malato al centro, non la malattia: una rivoluzione prospettica che è anche sostanziale e che libera un potenziale enorme. L’universo intellettuale e immaginativo di chi ha un disagio psichico diventa allora materia prima di nuove formalizzazioni o narrazioni, trasformando il conflitto in linguaggio. Ed è già territorio dell’arte, inevitabilmente.
– Helga Marsala
Riprese e montaggio a cura dell’Accademia di Belle Arti di Roma:
Alessio Rucchetta
Carlotta Scognamiglio
Valerio Sammartino
Simone N. Valente
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati