This is Racism. Padani, migranti, terroni: il corto che conquista i social
Un corto pensato per i social, pochi minuti di talento narrativo, attoriale, registico, per un contenuto forte che diventa subito virale. Amare verità sulla vicenda della lotta ai migranti e sulla redenzione dei leghisti, riusciti a farsi amare anche al Sud.
È giunto quasi a 2 milioni di visualizzazioni, nel giro di soli tre giorni, lo short film diffuso dalla pagina Facebook “This is Racism”. il classico contenuto virale, divenuto trend topic: tutti lo guardano, tutti ne parlano. E in tanti si arrabbiano. Se la sono presa i leghisti, per l’ennesima volta oggetto di critiche aspre da parte di quel fronte antigovernativo che va dai nemici del populismo sovranista pentastellato ai nemici del nazionalismo xenofobo salviniano: stando ai sondaggi, i due partiti hanno oltre il 60% dei voti. Ma la voce del dissenso non si cheta.
E il film ha provocato spasmi di sincera indignazione anche tra chi, coi leghisti, non prenderebbe nemmeno un caffè: miriadi di commenti irritati, rivendicazioni in caps lock e moti d’orgoglio, sul filo di un analfabetismo funzionale che rende arduo decifrare persino un monologo breve. Un brano facile facile, chiaramente ironico, deliziosamente provocatorio, che usa l’orrore per smascherarlo, per contraddirlo.
RAZZISMO E BATTAGLIE SOCIAL
This is Racism, ideato e diretto da Francesco Imperato, con la produzione di Golem Hub, è un’opera riuscita, ben fatta, intelligente, magnetica. E al netto degli offesi e dei confusi, il consenso è stato ampissimo.
La telecamera avanza lenta, verso colui che declama in un marcato accento veneto la sua confessione politicamente scorretta, sfacciatamente cruda. Volgare. La voce è profonda. L’immagine inchiodata al fondo, minuta, mentre l’obiettivo cammina, scruta, raggiunge la preda. È un tardo pomeriggio d’autunno, in un tramonto colorato di rosa: una casetta a due piani con giardino e veranda, il tosaerba, gli alberi, il cortile. Un frammento di bucolica quiete domestica, al profumo di periferia padana.
E tutto si fa sinistro, nella smorfia di lui che sa d’ignoranza e di miseria, nella barba incolta e nella faccia stanca, nel primo piano via via più stretto, nelle note grevi e in quello stare dritto, al centro, in posa. Lui, figlio del Po, elettore leghista della prima ora, “barbaro sognante” gonfio d’orgoglio e di disprezzo. Unico attore in scena, con nessuna voglia di dissimulare: “I neri sono riusciti a fare quello che Cavour non è riuscito a fare: hanno fatto gli italiani!”. Frase epica, tra le migliori di questo ottimo testo dello scrittore Marco Giacosa, interpretato da Andrea Pennacchi, padovano, attore professionista, perfetto nel ruolo e nell’inclinazione caratteriale cucita addosso al personaggio.
CI FACEVATE PROPRIO SCHIFO, TERRONI
“Ma io mi ricordo… io mi ricordo quanto schifo ci facevate. E si vede che non ve l’abbiamo detto bene, che non siamo stati capaci di comunicarvelo, non siamo stati efficaci. Perché se l’aveste capito quanto vi disprezzavamo, adesso non avreste votato Salvini. Non avreste neanche il coraggio di nominarlo il Ministro dell’Interno. E invece… terroni, ma che cazzo di problemi avete?“. Sta tutto qui il senso di questo sgradevole atto liberatorio, masticato in faccia alla gente del Sud, da decenni in cammino verso il Nord. Migranti in cerca di lavoro, di riscatto. Gli emarginati, i pelandroni, i mafiosi, i ladri. La feccia. Quelli senza voglia di faticare, ma che pretendevano un impiego e la casa popolare. “Ci facevate proprio schifo”, ripete. “Ma anche voi vi facevate schifo eh? Sennò non si spiega perché provavate a parlare il dialetto e lo storpiavate…”. E giù di sarcasmo, di sfottò, con quell’aria goffa eppure sfrontata di chi butta lì questioni dolorose, senza nemmeno pensare.
Intanto resta l’interrogativo chiave: discriminati ieri, riuniti sotto una comune bandiera oggi. Quella bandiera si chiama “Noi con Salvini” e non conosce divisioni. E il nemico? Eccolo. Il negro. Lo straniero. Qualcuno contro cui essere alleati, fratelli, connazionali, fintamente complici. Gli italiani li hanno fatti loro, gli extracomunitari. Vuoi mettere la soddisfazione di sentirsi un po’ signori, un po’ colonialisti, un po’ sbruffoni, quando più a Sud di te c’è un poveraccio più povero ancora? Ma voi meridionali – si chiede lui – davvero non avete capito l’inganno, il raggiro, lo sdegno?
L’INTERVISTA AL REGISTA
“Ho sempre coltivato interesse per queste tematiche sociali e ho deciso che era il momento di fare qualcosa”, ci racconta Francesco Imperato. “La collaborazione con Giacosa è nata per caso: stavo cercando idee e scrittori per realizzare una serie di episodi di fiction sul razzismo, insieme al collettivo This is Racism, nato per sensibilizzare l’opinione pubblica su questi argomenti. Così, lo scorso agosto, mi sono imbattuto in un suo post di che mi ha folgorato. Ho chiesto se potevo utilizzare il suo testo e l’ho adattato per il dialetto veneto”. Obiettivo centrato. “Quando abbiamo finito di girare ci siamo resi conto che il potenziale era alto”, continua, “ma non ci saremmo mai aspettati un’esplosione del genere”.
E in un tempo in cui il web è spazio d’ambiguità e di distorsione, tra falsi account gestiti da regie segrete, grappoli di fake news, algoritmi al servizio di propagande populiste, una comunicazione creativa, brillante, piena di appeal, costruita alla luce del sole come forma di narrazione consapevole, sembra suggerire una direzione. “Non so se possa essere una risposta efficace”, aggiunge il regista, “ma credo che porsi come si è posto il nostro personaggio, archetipo di un leghista veneto convinto, che prima insulta e poi ragiona, possa essere d’esempio per tutti”.
E in effetti insulta di brutto, il padano. Mentre ti conduce fin dentro a un ragionamento serrato. E così finisce per colpire sé stesso, per svelare tutta l’ipocrisia, tutta l’incoerenza del piano neo-leghista. Il meridionale è, ancora una volta, strumento. L’utile idiota da scatenare contro un nemico altro: è la mitica battaglia fra l’italiano patriota e l’extracomuntario dei 35 euro. Un discreto salto, per un partito che snobbava il tricolore e sognava la secessione.
Poi, alla fine del film, mentre la voce si fa più roca, arriva un accenno d’imbarazzo. “Terroni! Dovreste vergognarvi. Anche noi dovremmo vergognarci, per aver pensato delle robe così sporche. Vabè… Contenti voi…”. Intanto i vecchi immigrati campani, siculi, pugliesi, ormai padani d’adozione, danno addosso a ghanesi, siriani, pakistani, nigeriani: tutti stupratori, tutti spacciatori. Il gioco delle parti al contrario. “Che delusione”, ammette il vetero leghista nostalgico. Compatendoli, detestandoli, non capendoli e non capendosi più.
Del resto è così che funziona. La tecnica del conflitto paga. Quella della diffusione virale altrettanto, insieme all’assottigliamento tra realtà e finzione. Gli slogan elementari fanno il resto, propinando soluzioni facili a problemi complessi. Neri, zingari, casta, Europa, mercati, la scienza e Pig Pharma, i vecchi politici, il famigerato “sistema” e i famigerati “invasori”: concetti vuoti da riempire di mitologie oscure, usandoli per montare il consenso.
Ma è davvero forte, oggi, la voce di artisti, intellettuali, autori, contro certe derive? “Sicuramente a livello internazionale”, risponde Imperato, “ma da queste parti, dal mio punto d’osservazione, purtroppo non vedo – e spero di sbagliarmi – un attivismo così ficcante e pungente, come i nostri tempi richiederebbero. Credo che sia fondamentale, adesso, prendersi questa responsabilità”. Due milioni di persone intanto hanno visto il suo piccolo film. Quattro minuti taglienti, per guardarsi allo specchio. E starci un po’ male.
– Helga Marsala
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