L’arte è un delfino. Intervista ad Antonio Barrese

Stefania Gaudiosi è artista, curatrice e promotrice culturale. Particolarmente attenta ai temi della didattica dell’arte, cerca nelle forme culturali possibili vie di accesso alla comprensione del mondo e della nostra umanità. Artribune presenta il suo progetto “L’arte è un delfino”, un ciclo di video-interviste per riflettere sull’arte e la cultura del nostro tempo. Questo appuntamento vede protagonista l'artista Antonio Barrese.

PRIMO TEMPO

La sera del 15 settembre 2011 prendevo un volo per San Paolo, in Brasile, dove Antonio Barrese aveva intrapreso un progetto tanto folle da convincermi a partire. FlowingRiver_RioAmazonas è, ancora oggi, per me, una delle opere più incredibili e visionarie mai pensate. Soprattutto in tempi come questi, in cui la funzione pubblica dell’arte sembra essersi ridotta a poco, pochissimo, quasi nulla; specchio di un orizzonte progettuale che esprime altrettanto poco, pochissimo, quasi nulla.
Del progetto mi entusiasmavano, nell’ordine:

1) la dimensione epica: dentro c’era il respiro ampio delle grandi imprese. Cento natanti luminosi, che coprivano una superficie pari a dieci campi di calcio, alimentati da fonti energetiche rinnovabili, avrebbero disceso il Rio Amazonas, da Manaus all’oceano;
2) la forza espressiva, metaforica: portare luce nel cuore buio dell’Amazzonia, attraverso una tecnologia buona. Rimedio, speranza contro tutti gli abusi;
3) la natura olistica: tutti gli aspetti dell’arte e del progetto sarebbero stati coinvolti (e stravolti, riformulati, ripensati) veicolando valori etici, estetici, ecologici;
4) la capacità di coinvolgere forze insospettabili e reinventarne la funzione: la logistica dell’intera operazione sarebbe stata seguita dalla Marina Militare;
5) la natura sperimentale: era una cosa mai fatta prima, con mezzi mai usati prima. E avrebbe avuto una misura generosa, rivolta al futuro;
6) il fatto di sentirmi un po’ come Claudia Cardinale nel film Fitzcarraldo di Werner Herzog (in cui il forsennato Klaus Kinski persegue il folle progetto di costruire un teatro d’opera nel cuore dell’Amazzonia);
7) il fatto che fosse un’impresa impossibile e lo sapevamo entrambi, cosa che in alcun modo ci ha fermati.

Di cose impossibili è fatta la storia migliore dell’umanità. Quelle possibili ci incatenano all’abitudine e alla rinuncia. Dicono, di fronte a qualunque slancio, perfino all’amore: è così, è sempre stato così, non cambierà.
Ho sempre pensato – anche quando non sapevo di pensarlo – che fosse importante, invece, concedersi visioni ampie. Che bisogna vivere generosamente. Che non ci sono limiti se non quelli che decidiamo, per stanchezza o per paura. Che la vita possa essere vissuta con passione totale. Che vivere è cogliere l’occasione di essere eccessivi e, se si riesce, sublimi. Senza per forza dover rinunciare alla speranza di un’armonia superiore.
Cose che l’arte, in tutte le sue forme, fa.
Questo verso, tratto dall’antico poema mistico persiano “Il verbo degli uccelli”, di Farīd al-Dīn ʿAṭṭār, rende bene l’idea: “Passione e aridità non possono coesistere e chiunque aprì gli occhi all’amore andò a giocarsi la vita a passo di danza”.
Bisogna tenerlo a mente. E sostituire, di volta in volta, la parola amore con tutto ciò che ci sta a cuore.

SECONDO TEMPO

Del lavoro di Antonio ho scritto tanto e, adesso, quasi non trovo le parole. Dover raccontare di qualcuno che si ha regolarmente così vicino, in una prossimità quotidiana, psichica, materiale e spirituale, presenta rischi che non posso sottovalutare. Perché, per me, Antonio non è solo un artista di cui mi accingo a presentare il lavoro, dal momento che ho a che fare integralmente – da alcuni anni – con la sua biografia.
Potrei scrivere di tutte le cose che ho imparato. Tra tutte, la più importante è, forse: cerca quello che vuoi di più alto e non accontentarti delle briciole che il mondo ti offre per dissuaderti. Se è arte, che arte sia: a tutti i costi. E i costi sono alti, ma non abbastanza da indurti alla rinuncia. E, poi, la profonda dignità del lavoro artistico, malgrado le avversità di un mondo che costruisce falsi di ogni tipo: nei miti, nei bisogni, nei valori, nei sentimenti. Ma: lungo la via, questa è la norma.
Tutto il lavoro di Antonio lo dimostra. Dagli esordi nel Gruppo MID (il primo gruppo rock delle arti visive!), alle ultime immaginifiche opere, come l’Albero di Luce, installato a Milano in occasione delle celebrazioni per i cento anni dalla nascita del Futurismo. E poi, appunto, FlowingRiver_RioAmazonas, non una semplice, seppur grandiosa, installazione ambientale ma un’opera di Arte Geografica.

INFINE

Ogni uomo è un’idea sola”, cito Antonio, che cita Borges.
Conoscere un uomo vuol dire conoscere quell’idea, malgrado le sue molteplici declinazioni e il fatto, inevitabile, che si vive un’intera vita nel tentativo di darle forma.
La difficoltà nel definire il lavoro di Antonio in maniera coerente è, inoltre, la cifra della sana inquietudine contemporanea, quella problematica e potenzialmente – userò una parola ancora controversa, che bello! – rivoluzionaria.
E poi, nel lavoro di un artista ci sono cose che devono restare taciute, perché sono dette altrove, in forme più compiute e con parole nuove, impronunciate, impronunciabili.
Ecco, sono – come al solito – in un paradosso. Perciò lascerò che siano le sue parole a portarne la sostanza.
Questa è l’intervista numero 0. Anzi, non ha numero. È solo una delle nostre tante conversazioni, con la differenza che, questa, è avvenuta davanti a una videocamera accesa. Era, a dire il vero, una prova. Ma, con Antonio, è sempre buona la prima.
Dentro ci troverete quell’idea, forse, che dice Borges, e alcune istruzioni su come trovare la forza di restare indomabili.
Buona visione.

– Stefania Gaudiosi

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Stefania Gaudiosi

Stefania Gaudiosi

Stefania Gaudiosi è artista, curatrice e promotrice culturale. Studiosa e teorica dell’arte, con particolare interesse per l’Arte Cinetica e per l’opera di Iannis Xenakis, è autrice di diversi saggi dedicati ai temi della contemporaneità, della multimedialità e dei new media.…

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