L’arte è un delfino. Intervista a Bruno Bozzetto
Stefania Gaudiosi è artista, curatrice e promotrice culturale. Particolarmente attenta ai temi della didattica dell’arte, cerca nelle forme culturali possibili vie di accesso alla comprensione del mondo. Artribune presenta il suo progetto “L’arte è un delfino”, un ciclo di video-interviste per riflettere sull’arte e la cultura del nostro tempo. Questo appuntamento vede protagonista il disegnatore, animatore e regista Bruno Bozzetto.
Ci sono cose che ti risolvono la solitudine. Alcuni libri, alcuni film, sono come una carezza sulla testa, una pacca sulla spalla, un abbraccio. Hanno capacità di presenza. Una volta incontrate, restano con te. Se l’arte ha una funzione, tra tutte le possibili e tutte le impossibili (e ne potremmo declinare molte, e ogni volta ne ipotizzo una), ha a che fare con questa sua capacità di compagnia mentre ti decentra dalla crocetta immaginaria che ti è stata assegnata come posto al mondo in cui starsene composti. È una scheggia di caos nel quotidiano, un barlume. Ti prende e ti accompagna altrove.
Dovevo proprio cominciare così, perché per me questo furono, sono e saranno i film animati di Bruno Bozzetto. Il primo che ho visto è stato Vita in scatola. Illuminante monito sul vivere moderno che, a più di cinquant’anni di distanza, è ancora attualissimo. Non sapevo nemmeno chi fosse, allora, Bruno Bozzetto, ma fui talmente folgorata da quel breve film animato che cominciai a cercare tutto quello che potevo.
Avevamo da poco attivato in casa un lentissimo collegamento a internet, “allacciato” a un glorioso Pentium 1 assemblato (ma che ne sanno i millennials?). Quando ho capito che lì dentro, nella rete, c’erano tutte quelle cose che, prima, potevi soltanto sperare di incontrare per caso in giro per il mondo “reale”, mentre lì c’erano mondi ulteriori – ancora non esattamente inquadrati dalle normative che regolavano la tutela del copyright – in cui approvvigionarsene gratis, è stata la fine (per la regolarità degli esami universitari) ma è stato soprattutto l’inizio. Non era pirateria, era sopravvivenza.
Il secondo, nell’ordine delle mie scoperte disordinate, è stato West and Soda (1965), uno dei primi lungometraggi animati italiani (prima c’erano stati I fratelli Dinamite, dei fratelli Pagot, e La rosa di Bagdad, di Anton Gino Domeneghini, ma si trattava di trent’anni prima), anticipazione e al tempo stesso parodia dello “spaghetti western” (ma come si fa a fare la parodia di un genere che si anticipa? Sono miracoli che solo Bozzetto può fare).
Ma è con il terzo che ho finalmente realizzato di trovarmi di fronte all’incommensurabile: Mister Tao. Io, Mister Tao, “cortissimo metraggio” del 1988, che vincerà l’orso d’oro a Berlino nel 1990, l’avrò guardato mille volte e ho voglia di guardarlo ancora mille altre. E ogni volta so già che proverò, alla fine, lo stesso stupore.
Come sono certa che riderò ancora, come la prima volta, guardando uno qualunque dei film di Bozzetto, e ogni volta mi chiedo come facciano gli umoristi a sapere esattamente dove collocare le loro piccole cariche esplosive, a coglierti sempre di sorpresa.
RIDERE DI TUTTO, RIDERE DI NIENTE
A pensarci, non so bene cos’è che mi fa ridere inevitabilmente. Un rumore, un grammelot, un movimento, una metafora visiva, una trovata geniale che entra nel cervello come una scheggia luminosa. O solo lo sbigottimento di trovarmi, tutte le volte, di fronte all’impensato. Quello che fa ridere, forse, non è altro che un’improvvisa follia della forma, un’aritmia nell’ordine apparente, uno smascheramento. Sì, come dicevo, quel qualcosa di misterioso che ti decentra dal posto assegnato, dalla prigionia della normalità, offrendoti nuove speranze di libertà.
Al di là di qualunque significato, è la forma che si fa contenuto supremo (i bambini, del resto, ridono delle forme prima ancora di saper parlare). Ed è forse questa la più importante lezione del cinema sperimentale di quegli anni (mi vengono in mente anche Bruno Munari, Luigi Veronesi, Norman McLaren…). L’arte sonderà a fondo il cinetismo, il mistero del movimento e della trasformazione, astraendolo da qualunque accidente.
E non solo ci sono forme, ritmi, gesti e suoni buffi, ma nei film di Bozzetto anche un minuscolo, rapido particolare racconta tutte, in un solo colpo da maestro, le nostre insufficienze, i nostri vizi e il disagio di chi cerca continuamente di adattarsi al circostante pur essendone inadatto.
Come Il Signor Rossi, che ogni volta ne prova una, con tutto l’entusiasmo del neofita (un absolute beginner, per dirla con David Bowie), ma il suo animo gentile deve fare i conti con una categoria frequente nell’umano: l’ostilità. E allora non si può che fare il tifo per lui, perché, in fondo, neofiti di questa inspiegabile dimensione che è la vita lo siamo tutti. E se c’è una élite di esperti, non può essere che un bluff, e dobbiamo caricarla di una smorfia.
UN’IDEA CON INTORNO UNA LINEA
Il bene e il male, nei cartoni animati, è sempre facile da individuare. Si sa sempre, fin dall’inizio da che parte stare, chi sono i buoni e chi i cattivi.
Così è in West and soda e così sarà in Vip, mio fratello superuomo (1968), che denuncia i rischi in cui s’imbatte una società che rincorre il consumismo. Cliccando qui, vi ritroverete nel Bruno Bozzetto Channel. E ci resterete a lungo, ve lo garantisco. I suoi film, i suoi disegni – dirà – sono “idee con intorno una linea”. E troverete tante, tantissime idee, spunti interminabili di riflessione, meditazioni (perché quando si ride, poi si pensa).
Da qualche parte, troverete omini dagli occhi candidi e sgomenti, che infine si lasciano andare alla gioia di esserci, malgrado tutto. Come in Dancing in cui un cappello colorato ha il potere di sconfiggere nientemeno che la morte. Sarete di fronte a entità singolari, come a piccoli mondi.
Minuscoli talvolta per durata, ma estesi nell’immaginario, sono rimasti con me per anni, fondando a loro volta mondi, riproducendosi nella coscienza, e non avrei mai immaginato, durante quelle incursioni solitarie nell’universo Bozzetto, che un giorno mi sarei ritrovata a parlarne proprio con lui, Bruno Bozzetto, al fresco di un bellissimo pruno (ribattezzato, giustamente, da suo figlio “Pruno Bozzetto”), nel giardino della sua casa di Bergamo, in un pomeriggio di fine estate. E non eravamo soli. C’era una lucertola che ha assistito curiosa a tutto il tempo delle riprese, e tanti – tantissimi! – insetti affamati che ci hanno costretti a fare i conti col prurito (anche lui ci accompagnerà per tutto il tempo della ripresa…).
Ma abbiamo tollerato con indulgenza quel microcosmo tanto caro a Bozzetto e che spesso popola i suoi film, a partire dai primi due: Piccolo mondo amico (1955) e A filo d’erba (1957), dedicati al mondo degli insetti e realizzati con un’autoprodotta tecnica di ripresa casalinga (suo padre, Umberto, aveva riadattato allo scopo un’asse da stiro).
Più in là, nella sua casetta di legno, al riparo dal sole, c’era Beeelen, l’amica pecora che vive nel giardino di casa e che ha ispirato vignette che l’hanno resa una vera star del web.
ECOLOGIA POETICA E MONDO ANIMALE
Nel 2013, riceve il Premio Internazionale Poesia Civile Città di Vercelli – L’Occhio insonne, per “la poeticità e i temi di alto impegno civile, pacifista ed ecologico, di cui le sue opere su pellicola a disegno animato sono intrise e che hanno reso grande l’Italia a livello internazionale”, così recita la motivazione. Ciò prova che la poesia può abitare anche in una pellicola, oltre che sulla carta stampata. È forse per questo che i messaggi ecologici (formulati quando l’ecologia neppure aveva nome) nei lavori di Bozzetto sono così potenti. Ci mettono con immediatezza di fronte al fatto, all’assurdità. Sia quando si tratta denunciare uno stile di vita corrotto, sia quando suggeriscono di tornare a stringere un patto d’amore con gli animali. E hanno precorso i tempi.
L’uomo e il suo mondo potrebbe essere il manifesto visivo del postumano, per esempio. Che cos’è tutta la storia dell’uomo al cospetto di una farfalla? Che poi, tra animazione e animale c’è in comune la parola anima.
Da sempre l’animazione (da Topolino a Dumbo, dalla Ratatouille al Re Leone) ha umanizzato l’animalità e animalizzato l’umanità, dotandole di un’anima comune. Potrebbe essere forse questo l’esercizio più potente per tornare a stringere un’alleanza con la natura e, soprattutto, con gli animali, vittime innocenti di tutti i nostri abusi: guardare il mondo con i loro occhi. Ed è questo, forse, anche l’esito finale dell’umorismo: ci mette al di fuori di noi stessi per farci vedere per la prima volta come attori nel teatro buffo del mondo. E quale liberazione è, infine, poter ridere di sé!
UNA STORIA VIRTUOSA
Tante cose si potrebbero dire, ancora, della virtuosa storia di Bruno Bozzetto. Per esempio che nel 2013, il Walt Disney Family Museum di San Francisco gli dedica una mostra retrospettiva dal titolo Animation, Maestro! E che nel 2016 Marco Bonfanti realizza un documentario sulla sua vita Bozzetto non troppo, (dal titolo del bellissimo e struggente film musicale Allegro non troppo, del 1976) che viene presentato alla 73a Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Ma mi fermo qui.
“Sono questi i momenti in cui mi sento fortunata”, gli ho detto andando via.
“Sì, però se l’è cercata”, ha aggiunto, tanto per confermare quanto mi aveva detto poco prima, a telecamera spenta, sulla necessità di “aiutare la fortuna”, soprattutto per chi ha a che fare con il lavoro creativo: “Bisogna seminare tante cose in un orto, perché ci sia la probabilità che la pioggia ne bagni almeno una”. E, instancabilmente, Bruno Bozzetto ha seminato meraviglia.
Buona visione.
– Stefania Gaudiosi
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