Un Simposio sui monti per immaginare il futuro. Intervista a NONE Collective
Lo scorso luglio oltre duecento persone si sono incontrate a Borca di Cadore, nell'ex Villaggio Eni, per discutere di “utopie reali”. L'evento si chiamava Simposio e a organizzarlo sono stati i NONE Collective, gruppo di artisti con base a Roma. A due mesi dalla conclusione del meeting, Antonella Di Biase li ha intervistati. E si è fatta dare il trailer del documentario in lavorazione.
Un’utopia può essere un luogo bellissimo oppure un non-luogo. È un termine etimologicamente ambiguo. Ma che si consideri un significato o l’altro, l’utopia è per definizione un oggetto della mente, un mondo infinitamente esplorabile proprio perché svincolato dalla materia. L’espressione Utopia reale, quindi, è un ossimoro. E forse proprio per questo è il tema perfetto per un Simposio tra le maestose cime delle Dolomiti.
Organizzata da NONE Collective, l’edizione 2019 di Simposio si è tenuta nell’ex villaggio ENI di Borca di Cadore dal 4 al 7 luglio. Dopo una prima edizione nel 2018 nel loro studio di Roma, quest’anno i NONE hanno dato vita a un brainstorming lungo quattro giorni su arte, politica, presente, futuro e tecnologia. Ho avuto la fortuna di parteciparvi insieme ad altre duecento persone tra cui artisti come Marco Donnarumma, Quiet Ensemble, The Cool Couple, Donato Piccolo, dotdotdot e tanti altri.
Tra workshop, installazioni, performance e musica, le discussioni nascevano piacevoli e spontanee come altrove accade raramente. Così, si è formata un’affiatata comunità di simposiani con poche distinzioni tra ospiti e fruitori. Ora, a distanza di due mesi, i NONE hanno in cantiere un documentario su Simposio. Li abbiamo contattati per farci dare il trailer in anteprima, per fare un bilancio a freddo dell’esperienza e per parlare, tanto per cambiare, di futuro.
Com’è andato il rientro? Avete avuto un po’ di nostalgia, di “mal di Simposio”?Certo: mal di testa, di gambe e piedi. La fatica di operare su un sito così complesso organizzando quattro giorni di full immersion si è fatta sentire, ma l’unicità dell’iniziativa e l’affetto di tutti i partecipanti hanno ripagato ogni sforzo.
Da parte dei partecipanti ho sentito solo feedback entusiastici. Dal vostro punto di vista, che frutti avete raccolto come artisti e come persone? Siete soddisfatti dei vostri simposiani?
Su un piano personale siamo tutti soddisfatti, azzarderei fieri. Ma questo non basta: dobbiamo valorizzare quanto fatto tenendo in vita il capitale sociale che si è creato, una giovane comunità motivata e preparata per affrontare progetti utopici. In questo senso, tutti i partecipanti sono stati attivi e produttivi.
In che modo l’organizzazione di un evento come Simposio può essere intesa come una pratica artistica? Se secondo voi lo è…
Sì, lo è. Parte dal principio che l’arte si confronti con l’utopia, con la costruzione di comunità, di relazioni e riflessioni che agiscano nella collettività. I valori soggettivi, anche quando sono critici, finiscono spesso per essere inefficaci. A volte alimentano le dinamiche che si vorrebbe contrastare, vedi il mercato dell’arte contemporanea. Per noi riunire individui e programmare l’infrastruttura di Simposio (treni, furgoni, auto, letti, lenzuola, bagni, tavoli, piatti, bicchieri, cavi elettrici, etc), ha la stessa valenza artistica di progettare e programmare un’installazione immersiva. Sono solo i materiali a essere diversi.
Alla fine Simposio è stato un lungo brainstorming. C’erano persone di ambiti diversi, e anche generazioni distanti tra loro, da Stefano Roveda di Studio Azzurro ai giovani Clusterduck. Avete cercato di mescolare gli ospiti anche in un’ottica “generazionale”?
La composizione degli ospiti è avvenuta secondo i contenuti, abbiamo cercato quelli che secondo noi sono i gruppi di persone più attive e interessanti per dare un contributo a Simposio. Ci sono rappresentanti di diverse generazioni, ma anche se il contributo storico è importante, l’interesse è rivolto al futuro presente, l’età non conta. Piuttosto abbiamo cercato di mixare i contenuti: politica, economia, ambiente, genere, bioetica, tecnologia.
Vi giro la domanda che abbiamo fatto a tutti gli ospiti per il documentario: credete in una qualche utopia? Cosa fate nel vostro piccolo per realizzarla?
Beh, la risposta è facile: Simposio. Ma a essere sinceri non si può credere in un’utopia sola, semmai in molte. Gli ideali non devono essere scartati in quanto irrealizzabili, sono reali già nel momento in cui vengono concepiti, perché esprimono risposte al sentimento presente e proposte per quello futuro. Al realismo capitalista di cui siamo pervasi, un sentimento di cinica impotenza che trasforma rapidamente ogni alternativa in un momentaneo abbaglio, dobbiamo contrapporre la pratica del pensiero utopico, la produzione di nuove visioni. Nell’ex Villaggio ENI di Borca di Cadore abbiamo sperimentato un’utopia reale.
Ci sarà una prossima edizione, vero?
Sì, ci stiamo lavorando. Si è formata una bella comunità, e sarebbe un peccato se si disperdesse. Ci sono però diversi nodi da sciogliere. Non vorremmo che ci fossero distinzioni tra ospiti e partecipanti, cosa che in parte è già avvenuta quest’anno. Per questo abbiamo intenzione di condividere pubblicamente il quadro economico dell’organizzazione, di coinvolgere volontari, e di chiedere il supporto a tutta la comunità che, sebbene piuttosto piccola, è fatta di persone competenti, creative, attive, professionali che possono dare un grosso contributo a un progetto radicale come Simposio.
– Antonella Di Biase
Video credits
regia, riprese, montaggio: Ippolito Simion
seconda camera: Lorenzo Giordano
Assistente al montaggio: Lorenzo Baldi
Interviste di: Angelo di Bello e Antonella di Biase
una produzione SO WHAT Pictures
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