Genio & Sregolatezza. Un programma tv racconta la storia vista dagli artisti
Ogni lunedì, sulle frequenze di Rai Storia, un programma racconta la storia recente del nostro Paese attraverso le opere degli artisti contemporanei. Dagli Anni Cinquanta al Duemila, un viaggio tra società, politica e cultura. Abbiamo intervistato Marco Senaldi, autore del programma insieme ad Alessandra Galletta.
Cinquant’anni di storia d’Italia vista dagli artisti (1950-2000). È questo il sottotitolo di Genio & Sregolatezza, il nuovo programma di Rai Cultura che va in onda ogni lunedì alle 22.00 sulle frequenze di Rai Storia. Ideata e scritta dalla regista Alessandra Galletta e dal critico e filosofo Marco Senaldi, la serie ripercorre i grandi eventi della storia del nostro Paese, dagli Anni Cinquanta al Duemila, puntando l’attenzione sul pensiero e sulle opere degli artisti. Accompagnati da un gruppo di storici, filosofi, storici dell’arte e personaggi autorevoli del settore – tra cui Paolo Baratta, Flavio Caroli, Valérie Da Costa, Ugo La Pietra e Francesco Vezzoli – gli autori ci portano, in quattro puntate, alla scoperta del complesso rapporto tra arte contemporanea e società. Naturalmente, la serie è arricchita da preziosi materiali d’epoca, in gran parte provenienti dagli archivi Rai, in molti casi rari o addirittura inediti.
Il primo appuntamento, andato in onda lunedì 2 dicembre, era dedicato alla trasformazione della società italiana nel secondo dopoguerra, ossia il periodo del cosiddetto “miracolo economico”, arrivando fino alla vigilia della contestazione e dell’autunno caldo del 1969. La seconda puntata, di cui vi mostriamo due brevi estratti, andrà in onda lunedì 9 dicembre. Abbiamo fatto due chiacchiere con Marco Senaldi per farci raccontare qualcosa di più.
Da dove nasce l’idea di realizzare un programma come questo?
Dopo alcuni incontri preliminari, io e Alessandra Galletta (autore tv e regista di lungo corso) avevamo sottoposto a Rai Cultura una serie di proposte, tutte relative al mondo dell’arte contemporanea, e in particolare un’analisi delle figure più influenti del nostro Paese tra XX e XXI secolo. I progetti sono stati ben accolti, ma la direzione di Rai Storia ha rilanciato con una sorta di sfida: provare a tracciare un ritratto storico dell’Italia, dal dopoguerra alle soglie del 2000, “ricostruito a intarsi” attraverso le vicende dell’arte e degli artisti di quel periodo.
Un compito non facile…
Si, ci siamo immediatamente resi conto della difficoltà: questo “doppio sguardo” si scontra infatti con un ostacolo disciplinare: gli storici puri frequentano poco l’arte contemporanea, e la conoscono in modo frammentario, per quegli episodi che la portano agli onori della cronaca. Mentre, d’altra parte, gli storici e i critici d’arte hanno una visione imperfetta delle dinamiche politiche, storiche e sociali di un determinato periodo. Beh, dopo mesi di ricerche, di visione dei materiali, di rilettura delle interviste, di selezione delle opere, mano a mano che procedeva il montaggio cominciavano a succedere cose imprevedibili: i fatti dell’epoca chiarivano le opere d’arte e, viceversa, le opere illuminavano gli eventi storici dandogli un risalto del tutto nuovo e avvincente.
Ci puoi fare un esempio?
Le operazioni di Gianni Pettena, con le sue scritte cubitali urbane, nel 1968, prendevano un senso fortissimo accanto ai Tg dell’epoca, mentre una performance più tarda come quella di Vanessa Beecroft per il G8 di Genova, 2001, con trenta ragazze, rivela in controluce il fatto che tutti – tutti! – i presidenti delle otto nazioni presenti erano maschi. E questo illuminarsi a vicenda, come era già accaduto per la puntata sugli anni Sessanta, si è ripetuto anche per quelle meno ovvie, come la terza sugli anni Ottanta e la quattro sugli anni 90.
Avete utilizzato anche materiali d’archivio inediti?
La Rai possiede davvero un archivio immenso e imprevedibile, in parte disponibile online, ma in parte ancora da digitalizzare, dalla cui pancia sembra uscire di tutto. Alcuni materiali poco visti, come il celebre servizio Zoom – Arte povera, sono già leggenda, ma di altri si era persa traccia. Personalmente mi ha emozionato vedere Enzo Tortora che intervista Lucio Fontana, e lo interpella non sulla sua arte, ma per fargli commentare le opere di Toni Dallara, cantante allora sulla cresta dell’onda ma anche artista. Poi abbiamo utilizzato anche altri archivi, come quello, ricco di preziose testimonianze, dell’ASAC – Biennale di Venezia, o l’archivio audiovisivo del Centro per l’arte contemporanea Pecci di Prato: poter vedere direttamente il Padiglione veneziano del 1972, affidato a de Dominicis (quello del famigerato mongoloide, per capirci), o Liliana Moro mentre installa le sue opere a Una scena emergente, nell’ormai lontano 1991, ci ha ripagato dello stress accumulato tra progetto, interviste, montaggio e quant’altro. Inoltre, per ogni puntata abbiamo effettuato delle riprese originali di mostre in corso pertinenti coi temi di volta in volta trattati, come per esempio Paolo di Paolo al MAXXI, Notti magiche. Arte italiana degli anni 90 alla Fondazione Sandretto e la magnifica retrospettiva di Kounellis alla Fondazione Prada di Venezia.
Nella seconda puntata, in onda lunedì prossimo, si parla degli Anni Settanta, gli anni della contestazione e della rivolta. Qual è stato il ruolo degli artisti e dell’arte? Ci anticipi qualcosa di quello che vedremo?
Come tutti i decenni presi in esame, anche gli anni Settanta non combaciano con una rigida cronologia, ma iniziano nel 1968-69 e terminano – almeno in Italia – col rapimento e delitto Moro nel 1978. All’inizio si tratta di una rivolta spontanea, gioiosa, quasi euforica, che si presenta in manifestazioni irripetibili come Arte povera + azioni povere, nel 1968 ad Amalfi, oppure Campo Urbano, nel 1969 a Como. Sono veri happening collettivi, liberatori, un po’ utopici e, a vederli oggi, quasi commoventi. Poi però questa energia finisce per generare una reazione opposta: la tensione ideologica e politica sale, ci sono gli scontri, i morti, le stragi. L’atmosfera si fa davvero pesante, ma i grandi artisti riescono a lasciare un segno, come nel caso di Fabio Mauri: la sua performance sul fascismo (1971) rivela una bruciante attualità proprio a confronto con l’appena sventato golpe Borghese del 1970, mentre Franco Vaccari rende protagonisti gli spettatori, con la sua Esposizione in tempo reale (1972). E la marca irripetibile, del tutto italiana, dell’epoca (a testimonianza della nostra strampalata genialità) è che gli stessi anni in cui si consumava uno scontro politico violentissimo, sono anche quelli in cui la nostra televisione permetteva ad artisti come Mauri di usare la diretta per realizzare un happening mediale (Il televisore che piange, 1972) e a scenografi, registi e soubrette straordinarie di realizzare varietà indimenticabili come Canzonissima e Milleluci. Una contraddizione tutta italica, questa, che non è sfuggita a Francesco Vezzoli, l’artista-remixer che agli anni Settanta ha dedicato addirittura un’intera mostra, TV70, alla Fondazione Prada (2017), e che è intervenuto in tutte le puntate.
– Valentina Tanni
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