Tra Lisbona e Porto, intervista all’architetto Ricardo Bak Gordon

Classe 1967, l'architetto e docente portoghese Ricardo Bak Gordon ricostruisce in questa intervista la sua formazione, tra Porto, Lisbona e Milano, e rivendica l'importanza dell'analisi e dell'interpretazione del sito di intervento nei percorsi di progettazione. Una lezione appresa dai maestri dell'architettura portoghese...

A volte la mancata ammissione a un ateneo può rivelarsi un’opportunità senza precedenti. Così, almeno, è stato per l’architetto portoghese Ricardo Bak Gordon, dal 2002 alla guida dello studio Bak Gordon Arquitectos di Lisbona, nel quale lavorano una decina di professionisti. Folgorato da ragazzino dall’architettura moderna della capitale portoghese – Gulbenkian Foundation ovviamente inclusa –, dopo aver frequentato il liceo artistico, avrebbe voluto proseguire con la facoltà di architettura di Lisbona, ma dovette inizialmente “ripiegare” su Porto. “Si rivelò una delle cose migliori che mi sono successe, perché era la prima volta che lasciavo casa e andavo a vivere in un’altra città. All’epoca la Scuola di Architettura di Porto era la migliore che potessi immaginare: è stato il mio primo contatto con la disciplina e con figure come Fernando Távora e Álvaro Siza”, racconta in occasione dell’intervista rilasciata nell’ambito del ciclo Past Present Future curato da Itinerant Office.
Allontanatosi temporaneamente dal Paese natale, Bak Gordon scelse l’Italia per l’Erasmus – “ricordo di aver visto architetti come Tadao Ando e Rem Koolhaas venire al Politecnico di Milano ogni settimana”, – e riconosce a Porto un ruolo chiave nella sua formazione: “lì ho imparato ad affrontare un progetto, il dover essere sensibili al sito. L’architettura doveva essere un progetto di continuità; non dovevi reinventare il mondo ogni singola mattina”.

ATTENZIONE E RISPETTO VERSO I SITI DI INTERVENTO

Un approccio alla progettazione al quale resta fedele ancora oggi, conservando un atteggiamento di rispetto e di attenzione rispetto ai luoghi di intervento: “non esiste una risposta predefinita per nessun progetto. Ciascuno, in qualche modo, diventa come ‘il primo progetto’. Lavoro molto con il mio team, non sono il tipo di architetto che si limita a presentare ‘idee magnifiche’. Operiamo dall’inizio alla fine con molti consulenti. Mi ritrovo in ufficio con il mio team e percorriamo le diverse fasi del progetto, cercando di scoprire come sintetizzare la strategia”.
Intervistato in un momento storico in cui il turismo internazionale stava registrando una fase di espansione senza precedenti, Bak Gordon immaginava un futuro in cui le città avrebbero dovuto prepararsi alla convivenza tra visitatori, nomadi in transito da un luogo all’altro, e i residenti, in modo da scongiurare l’oscuramento delle identità locali, che considerava già parzialmente in corso a Lisbona. Tornata drammaticamente alla ribalta con la pandemia, la densità veniva già indicata dall’architetto come uno dei temi cruciali per l’architettura contemporanea, una disciplina alla quale le giovani generazioni di progettisti dovrebbero secondo lui approcciarsi con un atteggiamento di partecipazione e con spirito di osservazione. “Guardarsi intorno e capire quali domande il mondo ti pone. Cercare di essere partecipi con entusiasmo di questo processo, senza voler trovare l’invenzione definitiva”, questo il consiglio rivolto ai futuri architetti da Ricardo Bak Gordon.

– Valentina Silvestrini

L’intervista integrale è visibile sul sito

www.pastpresentfutureproject.com

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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