L’architetto deve dare idee al mondo. Intervista a Francisco Aires Mateus
"Viviamo in un tempo veloce e furioso, fatto di immagini che passano rapide; tutti cercano di progettare un'icona. E in questa urgenza tendiamo a dimenticare il resto". Itinerant Office ha intervistato l'architetto portoghese Francisco Aires Mateus
Per il primo appuntamento del nuovo anno con il ciclo di video interviste Past, Present, Future: about being an architect yesterday, today, and beyond, curato da Itinerant Office, facciamo tappa in Portogallo. Più precisamente a Lisbona, dove nel 1988 gli architetti (e fratelli) Manuel e Francisco Aires Mateus hanno fondato lo studio omonimo, successivamente diviso in due realtà indipendenti.
Più giovane di un anno rispetto a Manuel Mateus, Francisco ha condiviso con il fratello maggiore una fase rivelatasi cruciale per la formazione di entrambi. Dopo gli studi in un’importante scuola d’arte della capitale lusitana, si è infatti unito a lui all’interno dello studio di Gonçalo Byrne, tra i punti di riferimento per generazioni di architetti (non solo) portoghesi. Un’esperienza nel corso della quale ha appreso che nella pratica professionale destinare cura e dedizione fino “all’estremo dettaglio di un luogo significa anche un’estrema attenzione alle persone che occupano quel luogo”. Oggi a capo di un ufficio volutamente di piccole dimensioni, con il quale si occupa in maniera cospicua di edilizia residenziale per clienti privati, affiancandoli a interventi di altra natura, Francisco Aires Mateus equipara il mestiere dell’architetto a un’azione di ricerca. “È come essere in un’azienda chimica, devi sempre essere preparato all’errore, devi tornare indietro, lasciare andare tutto e ammettere di aver sbagliato. E questa incertezza è in realtà ciò che ci muove e ci fa andare oltre nella nostra ricerca. Ciò non significa che ogni progetto sia completamente diverso dall’altro, ma ognuno è una reinterpretazione o un’evoluzione del precedente”, racconta.
VIETATO INSEGUIRE SOLUZIONI RAPIDE
Francisco Aires Mateus individua nella velocità che contraddistingue la nostra epoca qualcosa da osservare con apprensione. “Viviamo in un tempo veloce e furioso, fatto di immagini che passano rapide; tutti cercano di progettare un’icona. E in questa urgenza di dare vita a monumenti iconici, tendiamo a dimenticare il resto. Per me questo è il pericolo dei nostri tempi. Fortunatamente ci sono anche tante persone che mostrano attenzione per l’ambiente e per la nostra casa comune, cioè la Terra”, aggiunge con una vena di ottimismo. In Italia l’architetto sta lavorando pro bono a una cappella di piccole dimensioni in un paese affacciato sul Lago di Como. Considera tale intervento una sorta di un “manifesto” del suo modo di fare architettura, utile per cogliere i ruoli complementari che riconosce alla memoria, alla funzione e all’analisi delle condizioni ambientali nel processo compositivo. Alle generazioni emergenti rivolge infine il pensiero conclusivo della sua intervista, incoraggiandole a praticare la pazienza anziché inseguire soluzioni che appaiono immediate: è questo, secondo lui, il modo per praticare un mestiere non facile, in cui viene richiesto di “dare al mondo idee”. Le stesse che consentono all’intera comunità umana di progredire e andare avanti.
– Valentina Silvestrini
L’intervista integrale è visibile sul sito
www.pastpresentfutureproject.com
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